Corridoni: libro di Malgieri riscopre l’apostolo del socialismo nazionale

13 Mar 2018 12:27 - di Mario Landolfi

Un libro su Filippo Corridoni, ma non una biografia di Filippo Corridoni. È l’ultima fatica editoriale di Gennaro Malgieri (“Corridoni”, Fergen editore, 105 pagg. 10 euro) che ha voluto così sottrarre al doppio e speculare pericolo che da sempre incombe sulla vita e l’attività dell’inquieto agitatore marchigiano, allievo di Georges Sorel e figura tra le più interessanti e significative della lotta politica e sindacale nell’Italia del primo decennio del Novecento: l’oblio e la “marmorizzazione”. Il primo imposto dalla storiografia ufficiale, il secondo frutto di quella fascista, che fece di Corridoni uno dei miti più venerati del proprio pantheon, fino a ribattezzare Corridonia la cittadina in provincia di Macerata, Pausula, in cui era nato nel 1887.

Corridoni è stata una delle figure più affascinanti del primo ‘900

Tutt’altro è l’intento di Malgieri. Che attraverso una essenziale ma nient’affatto sommaria disamina dell’irripetibile temperie culturale e politica che segnava l’Italia dei primi anni del secolo scorso si preoccupa soprattutto di restituire Corridoni alla sua tormentata vicenda umana e politica calandolo nelle sanguigne passioni e nelle feroci contraddizioni del suo tempo. Passioni e contraddizioni che egli stesso contribuì a incanalare e a superare attraverso sintesi ardite ed inedite, molte delle quali ancor oggi incredibilmente attuali. Del resto, la morte stessa di Corridoni appare l’effetto di un cortocircuito esistenziale. Si arruolerà volontario – lui condannato per istigazione alla diserzione per i suoi articoli su Rompete le righe, foglio antimilitarista fondato assieme all’anarchica Maria Rygier – per poi morire eroicamente in grigioverde nella Trincea delle Frasche, a San Martino del Carso nell’ottobre del 1915.

La violenza come levatrice della rivoluzione

Guerra e sciopero generale insurrezionale: due facce della stessa violenza necessaria, unica levatrice del riscatto sociale e morale delle masse proletarie. Agli occhi di Corridoni, come del resto a quelli del suo compagno di lotta e d’ideale Benito Mussolini, lo scontro bellico con gli Imperi Centrali non era in continuità con la retorica dell’epopea risorgimentale. Per entrambi, la guerra tra le nazioni era soprattutto il pedaggio pagato alla storia dalla rivoluzione proletaria. L’una precedeva l’altra, esattamente come gli assalti dalle trincee avrebbero preparato l’insurrezione popolare. Guerra e sciopero, i due grimaldelli grazie ai quelli le masse (non ancora popolo) avrebbero fatto irruzione sul grande proscenio della storia. Malgieri illumina con particolare efficacia lo scontro che si consuma in quei tumultuosi frangenti nel socialismo europeo e nel sindacato italiano. Corridoni avverte e percepisce come pochi che il determinismo storico insito nella dialettica marxista rischia di rivelarsi una formula astratta incapace di decifrare le drammatiche sfide poste dal nuovo secolo. Lo scoppio della Grande Guerra ha riportato tutti ai blocchi di partenza: i socialisti francesi sono in armi contro i socialisti tedeschi. Il crepitare delle mitraglie sui vari fronti di combattimento suona come campane a morto delle utopie della Seconda Internazionale. Corridoni comprende che il proletariato può assurgere a protagonista del proprio destino solo se riuscirà a coniugare la classe con la nazione.

Protagonista con Mussolini e D’Annunzio del “Maggio radioso”

È l’intuizione che spiana la strada all’originalità del Novecento italiano. È la scintilla che fonderà in una nuova e feconda sintesi guerra e rivoluzione, operaio e soldato, trincea e barricata. È il mito dell’Italia “Grande proletaria” che rompe i vecchi recinti ideologici accomunando nella grande battaglia interventista culminata nel “Maggio radioso” del 1915 sindacalisti soreliani come Corridoni, socialisti rivoluzionari come Mussolini, nazional-imperialisti come Enrico Corradini, poeti come Gabriele D’Annunzio, intellettuali come Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Ardengo Soffici. È a loro che si deve la fine dell’Italietta giolittiana e del parlamentarismo parolaio e inconcludente. A Malgieri, invece, va il merito di aver estratto dall’oblio insolente e dal “marmo” agiografico la fascinosa figura di Corridoni per restituirlo alla sua dimensione di indomito Prometeo che ha testimoniato con il sangue di soldato della nazione la propria fedeltà alla rivoluzione e al proletariato.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *