La Difesa nell’era dell’insicurezza: serve un raccordo politico-militare più stringente

23 Feb 2018 13:38 - di Caio Duilio

Il mondo unipolare creatosi al termine del XX secolo consentiva all’iperpotenza americana di gestire e coordinare l’ordine mondiale. Gradualmente, gli Stati Uniti hanno dovuto però prendere atto di non essere più in grado di sostenere una politica completamente unilaterale. Rivendicazioni nazionalistiche di autonomia, rivalità di matrice etnica o religiosa, gli Stati falliti, la comparsa di nuove potenze regionali, la criticità per l’accesso alle risorse fondamentali, il deterioramento del regime di non proliferazione delle armi di distruzione di massa, i flussi migratori irregolari ed il fenomeno terroristico transregionale sono solo alcuni degli elementi che contraddistinguono la cosiddetta “globalizzazione delle insicurezze”. In questo quadro, la possibilità che situazioni di crisi insorgano è diventata sempre più attuale.
La NATO, l’Unione Europea e l’Italia sono chiamati in causa al fine di contribuire al mantenimento della pace e della stabilità. Tale situazione non può non avere un impatto significativo sulla configurazione e sull’impegno dello strumento militare nazionale e sulla sua trasformazione. Le risorse da dedicare al sostentamento ed allo sviluppo delle Forze Armate sono da anni cronicamente limitate, con la necessità di adottare scelte strategiche mirate in termini quantitativi, da bilanciare con uno sviluppo qualitativo.
E’ uno scenario a tinte fosche: le dinamiche dei rapporti tra le maggiori potenze con interessi mondiali o regionali continuano a contribuire alle cause delle crisi (taluni Stati non accettano le condizioni imposte da altri e rivendicano un nuovo ruolo nello scacchiere mondiale, in un atteggiamento revisionista). In effetti, sono ipotizzabili scenari da “guerra fredda” di tipo simmetrico tra Stati, con ricadute “calde” a livello regionale o locale, e conflitti asimmetrici anche ad alta intensità. Continuano a mutare gli equilibri economici, militari e politici, con la crescita di nuovi attori regionali di notevole rilievo, non lontani dall’Italia. Inoltre, la globalizzazione delle relazioni, sostenuta dalle reti informatiche, costituisce un rilevante fattore di accelerazione dell’evolversi delle instabilità che ha esteso il concetto di dove poter “condurre la battaglia”, introducendo nuove dimensioni quali l’ambiente cibernetico e quello informativo (come le Fake News). In questa fitta “nebbia di guerra” si impone quale percorso prioritario per la Nazione quello di sviluppare un sistema della Difesa basato su un’adeguata organizzazione che raccordi il livello politico-strategico -il governo della Repubblica-, il livello politico-militare -il Ministro della Difesa- con quello strategico-militare -il Capo di Stato Maggiore della Difesa- al fine di conseguire una capacità decisionale adeguata ai tempi e decisamente superiore alle attuali condizioni. Occorrerà certamente avviare una graduale integrazione capacitiva con gli altri Paesi europei e NATO ed un impiego delle forze sempre più interoperabile, in grado di rispondere ed affrontare efficacemente le future sfide, ma risulterà indispensabile e non delegabile mantenere autonome ed efficaci capacità che permettano all’Italia di detenere una superiorità adeguata a tutelare gli interessi nazionali. Occorrerà disporre di forze estremamente flessibili, in grado di adattarsi allo scenario, mantenere capacità militari credibili, capaci di garantire la necessaria deterrenza nel contesto internazionale, in grado di intervenire rapidamente e con limitati tempi di preavviso.
I nuovi domìni imporranno la necessità di adeguare le norme e le leggi relative alla cibernetica: nel particolare, opportuna copertura legislativa nel settore del cyberwarfare. Le classi dirigenti italiane dovranno finalmente prendersi le proprie responsabilità, per governare la complessità degli scenari.

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