Foibe, ce ne sono due anche in Toscana: ecco la loro storia

9 Feb 2018 14:31 - di Cristina Gimignani

Imparare a parlarsi e a comunicare è difficile, forse più che camminare.

Ci eravamo illusi che l’uomo moderno fosse diventato adulto, che avesse capito dove il male inizia e il bene finisce, ma ci siamo sbagliati.

Nei giorni della memoria, di qualunque memoria, inizia il tormentone negazionista.

I cadaveri, le lacrime, le testimonianze dei sopravvissuti a nulla valgono tanto è radicato e profondo il gioco tra Oriazi e Curiazi, guelfi e ghibellini,  rossi e neri, che contraddistingue il nostro concetto di italianità.

Nella cosiddetta Toscana “minore”, che spesso come ferocia non ha nulla da invidiare alla maggiore, esistono due storie poco conosciute, fatto salvo qualche articolo di giornale, o pubblicazioni come “Cronache grossetane” di Vito Guidoni, o “La foiba della Val d’Orcia” di  Ilario Sbrilli.

La prima tragedia si narra si sia svolta vicino a Roccastrada, al pozzo dello Sprofondatoio, in località Aratrice, dopo la morte di circa 80 americani , avvenuta perché i tedeschi avevano minato gran parte del paese.

Fu così che, per ritorsione,90 persone vennero gettate vive nella gola della roccia ,detta pozzo sprofondatoio, ma non arrivarono tutte in fondo.

Molte, si schiantarono sulle falde, chi  a 15, chi a 20 metri : di notte, alcuni testimoni hanno raccontato che si potevano distintamente udire le invocazioni e i lamenti, ma nessuno si mosse, perché uomini armati avevano avvertito la popolazione di non avvicinarsi,con la minaccia di fare la stessa fine.

Passata la guerra, la falla carsica venne chiusa insieme ai suoi segreti, ma la memoria è rimasta viva e ha squarciato il silenzio con articoli di giornale e testimonianze che si sono tramandate di padre in figlio.

Il secondo episodio riguarda la foiba della Val d’Orcia, dove nell’omonima pubblicazione Ilario  Sbrilli ripercorre la morte del padre, maresciallo dei carabinieri alla stazione di Abbadia san Salvatore e dei suoi commilitoni nella primavera del 1944.

Questi  i fatti: mentre stava indagando su un furto, l’8 aprile viene catturato da un gruppo di partigiani del monte Cetona Giovan Battista Sbrilli, insieme al vicebrigadiere , un appuntato e due militi della Gnr, tutti richiamati alle armi.

Dopo 5 giorni di atroce prigionia , giunge la Pasqua e siccome i carcerieri volevano tornare a casa, uccisero i prigionieri e li gettarono in una foiba poco distante dove rimasero fino al 1949, quando si svolse il processo a Siena per crimini di guerra: dopo un mese di scavi, i corpi furono recuperati.

La sentenza della Corte d’Assise del 19 gennaio 1953, condannò i colpevoli a 15 anni.

A questi episodi, ho dedicato un capitolo del mio ultimo romanzo di prossima edizione,sperando con l’affabulazione di riuscire a captare l’attenzione dei negazionisti.

Appartengo alla generazione che ha fortemente creduto al dialogo , alla pacificazione nazionale, al rispetto del sangue dei vinti : mai mi sarei aspettata che dopo gli anni di piombo fossimo ancora qui, a cercare di spiegare torti e ragioni che ormai dovrebbero essere consegnati alla storia.

La trama del mio racconto, è ovviamente solo ispirata alla realtà, ma vorrei trasmettere al lettore  la sensazione di ciò che avviene un attimo prima di essere gettato vivo in una foiba, come un testimone narra sia accaduto al figlio della Chiccaia di Grosseto.

Un ragazzo di 20 anni che, una volta portato sul ciglio dell’orrore, veniva vilipeso e deriso, tanto che una mano ‘caritatevole’, a un certo punto gli dette una spinta e lo buttò giù, nel pozzo dello sprofondatoio.

Terribile, anche se non esiste altra prova di questo episodio, se non la testimonianza orale.

Ma io scrivo romanzi storici e niente, a volte, è più reale dell’affabulazione.

In un’epoca in cui i giovani stanno curvi sul telefonino tutto il santo giorno, mentre gli adulti rincorrono una giovinezza che non tornerà, ecco io vorrei che la gente imparasse a chinare la testa di fronte alla storia, al dolore,per l’unità nazionale.

Maurizio Gasparri, che insieme a Ignazio La Russa ed altri esponenti del mondo della cultura e della politica mi ha concesso la sua intervista, si è rammaricato di come spesso, in prossimità del giorno di commemorazione delle Foibe, tocchi sempre a lui sollecitare le istituzioni per una data che dovrebbe essere nel cuore di tutti.

Ma come si può pensare di essere cosmopoliti, se non sappiamo cosa sia il rispetto per i morti e la lucidità di leggere la storia per quello che è e non per quello che vorremmo  fosse stata?

L’importante non è vincere sempre, ma capire tutto.

Per imparare a essere migliori, perché solo un popolo civile,è l’anticamera di un popolo libero.

Commenti

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  • Giuseppe Forconi 10 Febbraio 2018

    Giusto, veramente giusto, lascia l’amaro in bocca. Ma come si puo’ ,oggi, far capire a questi soggetti che ancora rincorrono un passato che altro non e’ che storia. Storia che a loro fa paura, storia che non accetteranno mai di essere stati altrettanto colpevoli di aver trucidato i propri fratelli gli stessi italiani la cui colpa altro non era che aver creduto in un sistema diverso. La loro paura sono in fantasmi dei fratelli trucidati e cercano di girare le loro colpe con questa guerra al fascista. Ma quando riusciranno a vedere le cose nel modo in cui sono successe ? Ci vuole valore e coraggio di accettare colpe non solo incolpare per lavarsene le mani, ma purtroppo stiamo combattendo anche contro una profonda ignoranza.

  • Gian Piero 9 Febbraio 2018

    Questo articolo lascia l’amaro in bocca, ma anche un, seppur molto tenue, barlume di speranza. Arriverà mai il giorno in cui si riconosceranno, tra i due campi che furono avversi, reciproci errori, eroismi, appartenenze e, soprattutto, si arrivi al rispetto dei morti? Personalmente mi piacerebbe, ma sono dubbioso perché per arrivare a questo occorrerebbe una profonda revisione storica degli avvenimenti di prima della guerra civile e della guerra civile stessa, revisione che implicherebbe, anche, il riconoscimento dell’avversario (in questo caso il tanto famigerato fascista). Ebbene, il mondo comunista questo, temo, non lo farà mai. Perché significherebbe distruggere un castello di menzogne all’interno del quale si è sempre rifugiato il peggio della repubblica nata dalla resistenza. Il re sarebbe, a quel punto, davvero nudo. Ecco il perché del mio scetticismo.

    • giuseppe rabai 10 Febbraio 2018

      rispondo a gian piero, articolo ottimo e giustissime affermazioni di gian piero ,fin quando non si metterà sulla stessa bilancia l’una e l’altra parte non ci sarà mai il modo corretto di confronto ma dubito fortemente che la parte rossa accetti un incontro ad armi pari, e i fatti di questi giorni sono la cosa più eclatante .essendo delle zona interessata dal’articolo avevo solo sentito parlare di alcuni casi ma non quelli citati .