Ecco perché Di Maio sta portando i Cinquestelle nella terra di nessuno

17 Feb 2018 17:42 - di Lando Chiarini
programma m5s

Non c’è solo rimborsopoli a rendere elettrica l’aria in casa grillina. Il dato vero, e che in parte spiega anche le tensioni (e le defezioni) di questi giorni, è tutto politico e ruota per intero sullo scenario post-elezioni. Se ne trova traccia nelle parole dettate alle agenzie in queste stesse ore dal capo politico del M5S, Luigi Di Maio: «Noi siamo la prima forza del Paese e per fare un governo o si passa da noi o perdono tutti la poltrona». Tradotto, significa che il 5 marzo, forte delle urne e non solo dei sondaggi, Di Maio chiederà al capo dello Stato di essere incaricato di formare il governo sulla scorta di un “chi ci sta ci sta” che sa tanto di improvvisazione, ma anche di disperazione.

Lo scontro sotterraneo tra governisti e movimentisti

E qui torniamo alle ambasce del M5S, minacciato dal possibile scontro tra l’anima ministeriale incarnata dall’impettito Di Maio e quella movimentista per ora acefala, ma che potrebbe ritrovare nell'”esule” volontario Di Battista il proprio vindice. I due sembrano filare d’amore e d’accordo. Ma qualcosa pure significherà la circostanza che mentre il primo punta alla guida del governo, il secondo ha rifiutato persino di ricandidarsi. Per ora una fragile linea di compromesso tra le due anime poggia sulla stramba road map immaginata da Di Maio: ottenere l’incarico, presentarsi in Parlamento, stilare un elenco di provvedimenti arbitrariamente necessari per il «bene del Paese» e scommettere tutto sul senso per la poltrona da parte della maggioranza dei deputati. Un percorso che non sta né in cielo né in terra, ma che Di Maio reputa sufficiente a tenere a bada le tensioni interne e, nel contempo, a conservarlo nella partita del governo, altrimenti appannaggio del centrodestra o delle varie alchimie in cui eccelle la fervida fantasia italica.

Di Maio è privo di strategia

Ma è vero il contrario: così facendo Di Maio avvalora la tesi di chi gli imputa mancanza di strategia e di aver deliberatamente scartato la strada delle alleanze per non assumersi vere responsabilità. Non è un’accusa da poco. Quanto sia pesante se ne accorgerà un minuto dopo aver fallito l’appuntamento con il governo dopo averlo tanto annunciato. Solo allora, forse, si accorgerà di aver consegnato al M5S un futuro all’insegna della frustrazione politica, rispetto al quale persino l’attuale psicodramma scatenato dai rimborsi taroccati finirà per somigliare a un bel ricordo.

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