Un dibattito da fare, quale avvenire per i giovani? Valore e partecipazione

15 Gen 2018 13:16 - di Mario Bozzi Sentieri

A ridosso del ’68, Ugo Spirito, in un saggio dedicato alle giovani generazioni (“L’avvenire dei giovani”, Sansoni, 1972), saggio che appare in alcuni parti datato, ma che certamente è tutt’altro che banale, pone l’accento sulla contrapposizione tra “individuo sociale” e “individuo privato”, vedendo nel primo il “prodotto” delle trasformazioni del sapere in sapere specializzato e quindi della nascita dello “specialista”, collaboratore di altri suoi pari. In questo passaggio dall’individuo tradizionale all’individuo sociale, Spirito immagina “una convivenza tra eguali, in cui la voce di ognuno si fonde con quelle degli altri, in una comunanza di azioni che dà significato a tutti, indipendentemente dal valore dei singoli”.

Erano i primi Anni Settanta, anni in cui – citiamo sempre il filosofo del “problematicismo” – si “affacciano le prime richieste di una preparazione collettiva, di votazione unica, di esame di gruppo e via dicendo”, anni di protesta, del “no puro e semplice che si esprime con forme estremistiche e distruttive”. Oggi, a cinquant’anni da quelle analisi, è il loro ribaltamento che può aiutarci a cogliere i nuovi elementi costitutivi di un autentico “avvenire per i giovani”.

Se il passato è l’egalitarismo massificante, l’annullamento sociale, il rifiuto anarchico, le domande dei giovani d’oggi e quindi gli elementi costitutivi del loro avvenire sono la meritocrazia, l’affermazione di sé, la partecipazione creativa. A queste domande che occorre dare una risposta. In che senso? Ad ogni giovane che voglia costruire il proprio avvenire (e quindi quello nazionale) occorre garantire il diritto di vedere riconosciuti i propri meriti, cosa che non è, fino ad oggi, avvenuto, vuoi per una errata concezione dell’uguaglianza, vuoi per gli “inquinamenti” partitici e “baronali” che spesso hanno provocato una selezione alla rovescia. Secondo dati di Willis Tower Watson una società di consulenza – riportati recentemente da “il Sole-24 Ore” – un giovane assunto come entry level (contratto di ingresso) dopo la laurea magistrale in Germania guadagna in media 37mila euro lordi all’anno: circa 11mila euro in più rispetto ai 25-34enni italiani fotografati da JobPricing. Se si allarga il confronto ad altri paesi Ue, la forbice si allarga a oltre 6.500 euro lordi: dai circa 25.600 euro lordi che si guadagnano in Italia ai 32.214 euro nella media dei laureati magistrali tra Francia Irlanda, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svezia.

Il riconoscimento dei meriti è il primo passo per garantire il libero sviluppo della personalità. Tramontato il tempo dell’”individuo sociale”, caro a certa cultura macchinistico-industrialista, è la mobilità sociale, l’aggiornamento permanente, l’innovazione a segnare la nuova “filosofia del lavoro”. Ed è dunque rispetto a questa nuova filosofia che è necessario riparametrare una cultura ed i modelli organizzativi che intorno ad essa vanno emergendo. L’ascensore sociale va rimesso in movimento e per farlo occorre offrire gli strumenti a chi, pur meritevole, non li ha.

Questo introduce un nuovo dato: la partecipazione. Essere partecipi, fare parte, sentirsi parte di un progetto, è la grande aspettativa giovanile, un’aspettativa che non ha niente di massificante, non può essere comprata a colpi di sussidi di disoccupazione o di buoni sconto per i concerti musicali, ma che si coniuga con il diritto alla meritocrazia, con il riconoscimento dei talenti individuali, con la pienezza di un avvenire autentico.

Un discorso di qualità dunque e di valore, quello che bisogna sapere leggere tra le pieghe del vissuto giovanile, molto più concreto di certi stagionati guru e, nello stesso tempo, pronto ad accettare le sfide del cambiamento, intorno a cui si giocano le sorti del Paese.

“La gioventù di un grande Paese – diceva Abel Bonnard – in tempi felici riceve esempi, in tempi di crisi li dà”. Mai come oggi, c’è bisogno di “esempi” (culturali, sociali, politici) in grado di saldare vecchie e giovani generazioni, facendo uscire l’Italia dalla crisi in cui anche un giovanilismo senza avvenire l’ha fatta impantanare.

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