Vittorio Emanuele III torna in patria. Ma l’ipocrisia del governo gli nega il Pantheon

17 Dic 2017 12:05 - di Niccolo Silvestri

È singolare come i più solerti segnalatori delle campagne d’odio ne diventino, all’occorrenza, i più lividi rinfocolatori. È tutta terribilmente e ipocritamente italiana la decisione del governo di autorizzare il ritorno in patria (nel sacrario di Vicoforte, a Mondovì) delle spoglie di Vittorio Emanuele III, ma non l’ingresso nel Pantheon di Roma accanto a quelle dei primi due sovrani di Casa Savoia, Vittorio Emanuele II e Umberto I. Di che cosa hanno paura questi arcigni e interessati guardiani della faziosità permanente? Quali fantasmi del passato turbano le loro coscienze sinceramente repubblicane, sicuramente democratiche e certamente antifasciste? Nessuno mai risponderà. Eppure qualcuno dovrebbe spiegare per quale motivo, a distanza di oltre 70 anni da quegli eventi, ancora si impedisca agli italiani di riconciliarsi con la propria storia e di dotarsi di una memoria condivisa, finalmente affrancata dalle pesanti bardature politiche ed ideologiche che l’hanno costretta a procedere solo nella direzione gradita alla sinistra italiana egemonizzata da quel Pci che fino a ieri prendeva ordini e soldi dall’Unione Sovietica, potenza straniera e nemica. Fateci caso, in questi decenni tutto è cambiato, tranne che la strumentalizzazione della storia a fini di parte. E ciò nonostante la falsa mitologia che ne è scaturita incanti sempre meno. Persino il 25 Aprile sopravvive ormai solo come sagra di cannibalismo tra le varie sinistre, ciascuna delle quali accusa l’altra di aver tradito i valori della Resistenza. Per questo gli arcigni guardiani della fazione evocano il fascismo. Ma l’effetto è ridicolo, sembrano quei medium un po’ paraculi che nei film fingono di avvertire la presenza del caro estinto solo per estorcere un po’ di soldi agli inconsolabili congiunti. Lo stesso accade con il fascismo, ormai avvistato ovunque, nelle spoglie di Vittorio Emanuele III così come in un gruppetto di teste rasate o, che poi è lo stesso, in un mucchio di zucche vuote. Devono farlo. Non per difendere una verità storica, ma solo per tenersi ben stretta una rendita di posizione politica ed ideologica che distribuisce tuttora succulenti dividendi al culturame italiano. A costoro, in fondo, che la salma di Vittorio Emanuele III torni o meno al Pantheon importa poco più di un fico secco. Se si lanciano su queste quattro ossa è solo per riattizzare il clima d’odio in cui sono cresciuti e soprattutto pasciuti. «E chiamali fessi», avrebbe chiosato il monarchico Totò.

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