Quella sera ad Acca Larenzia: le drammatiche voci di quelli che c’erano

14 Dic 2017 20:37 - di Antonio Pannullo

convegno

Tutto come quella sera. Ma sapendo molte cose di più. Molti di quelli che hanno partecipato alle giornate del gennaio 1978  a via Acca Larenzia, si sono ritrovati al significativo convegno organizzato dalla Fondazione Alleanza nazionale in via della Scrofa, intitolato Acca Larentia – 40 anni senza giustizia. Uomini intorno ai sessant’anni, ma che allora erano giovani di venti, molti dei quali non si vedevano da allora, si sono incontrati e sono venuti ad ascoltare le testimonianza di prima mano di chi c’era quella maledetta sera al Tuscolano, quando furono assassinati da estremisti di sinistra Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti, cui si aggiunse, poche ore dopo Stefano Recchioni, colpito da un proiettile proveniente da dove erano raggruppati i carabinieri comandati dall’ufficiale Edoardo Sivori, che ha sempre negato la responsabilità dell’omicidio ed è stato anche assolto. Comunque, subito dopo la strage, Sivori fu trasferito con una certa fretta a Firenze per ordine dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga. Erano tutti giovani sotto i vent’anni. Al convegno c’erano i testimoni diretti di allora: il segretario della sezione del Msi del Tuscolano Ivo Camicioli, Bruno Di Luia che sollevò il corpo di Stefano e lo accompagnò in automobile in una disperata corsa all’ospedale, Maurizio Lupini, che si trovava tra i cinque che subirono l’agguato terrorista in via Acca Larenzia. Il dibattito è stato moderato da Adalberto Baldoni, giornalista, scrittore e protagonista delle lotte di quegli anni, certamente uno dei maggiori conoscitori della storia degli anni di piombo, e che fu il primo inviato dal Secolo d’Italia sul posto pochi minuti dopo la strage e che raccontò la cronaca dal telefono di una frutteria posta nelle vicinanze. I saluti sono stati portati dall’avvocato Peppino Valentino, nuovo presidente della Fondazione, già senatore, nonché anche lui ex attivista missino coraggioso nonché difensore (a titolo ovviamente gratuito) di tanti camerati ingiustamente arrestati.

Giuseppe Valentino – Il presidente ha ringraziato innanzitutto Domenico Gramazio per essersi reso promotore di questo convegno. “Quella strage segnò l’inizio della strategia della tensione, anche se non ho una cultura del complotto, anzi mi attengo ai fatti. E i fatti dicono che vennero individuati i responsabili dei tre omicidi, grazie a una pentita che fece dei nomi. Tutti vennero poi scarcerati tranne uno, che intanto si era ucciso in carcere”.  Valentino ha ricostruito accuratamente l’intera vicenda, sostenendo che gli elementi per rivisitare l’intera vicenda oggi ci sono tutti. “Qualcosa allora non fu preso nella debita considerazione, e su questo non ci sono dubbi”, ha detto, concludendo che quei tre giovani, cui si aggiunse l’anno dopo Alberto Giaquinto, sono morti per le stesse idee nelle quali crediamo tutti noi.

Gian Marco Chiocci – Il direttore del Tempo ha ricordato che nel corso degli anni tante piccole verità, nuovi frammenti su quella strage, si sono aggiunti al panorama generale. “Una volta incontrai a una cena anche due ex brigatisti, che mi fecero notare che i miei articoli in questi anni avevano lasciato il segno”. Chiocci ha ricostruito la vicenda del mitra Skorpion, che poi tornerà in tanti sanguinosi episodi, e quella del contesto politico e sociale di quei tempi, soffermandosi sulla descrizione dell’attentato e sul fatto che su alcune persone non si è mai e poi mai indagato, ricostruendo anche le confessioni della pentita Todini, che poi alla fine venne dichiarata inattendibile. “Anche Antonio Savasta e altri pentiti – ha raccontato Chiocci – parlarono di quel gruppo terrorista, e di come si doveva esercitare contro i fascisti del Tuscolano”. Poi Chiocci ha raccontato di aver chiamato stamattina l’allora capitano Sivori. “Lui è stato qualche secondo in silenzio prima di rispondere,  e poi ha dato la solita versione: che ha sparato in aria, che non voleva uccidere nessuno e così via. Però – ha aggiunto Chiocci – lì in quel momento c’erano alcune persone di cui non si sapeva niente, gente con impermeabili bianchi e su cui non si è mai indagato”. E quel giorno, ha detto il direttore del Tempo, per molti fu un giorno di non ritorno. Insomma – ha concluso, “qualcuno dovrebbe dire a Fiano che a scherzare col fuoco, ci si brucia”.

Maurizio Lupini – “Per me allora si è fermato il tempo, ho ancora lo spirito di quel ventenne che ero, perché ho ancora la voglia di combattere”, ha esordito. “Nel 1977 – ha raccontato – riaprimmo con Ivo Camicioli la sezione di via Acca Larenzia, perché allora le sezioni erano continuamente attaccate e le carceri aperte. E poi c’era la frase, mai censurata dal nessuno, che uccidere un fascista non è reato”. Poi ha ricostruito quella sera: “Eravamo in sezione io, Vincenzo Segneri, Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti, Giuseppe D’Audino, poiché Ivo Camicioli e Faccia e la sua ragazza erano usciti da poco. Notammo all’angolo – ha proseguito – un tizio che saprei riconoscere anche oggi, con i Ray-Ban fotocromatici, ma non vi feci caso più di tanto. Allora uscimmo dalla sede, spensi la luce, e fu l’inferno: senti dei botti come dei mortaretti, ma erano proiettili, il primo dei quali colpisce Franco Bigonzetti, che venne sollevato da terra, e ricordo quel suo impermeabile bianco che volò per terra. Poi fu confusione totale. Ciavatta scappa per le scale, io D’Audino e Segneri rientriamo e chiudiamo la porta. Intanto continuano a sparare su Bigonzetti per terra, il cui sangue entrava da sotto la porta. Riaccendo la luce, esco, e vedo Franco per terra, poi vedo Ciavatta, che era ancora vivo, cerco di soccorrerlo. Dice che bruciava, sta 37 minuti per terra, poi arriva l’ambulanza”. Con un’emozione fortissima, Lupini ha raccontato anche tutto quello che seguì, l’interrogatorio, la reazione dei genitori, le emozioni dei giorni e degli anni successivi. Ha concluso con una sua ipotesi: “Io penso che il fatto di Acca Larenzia non fosse che un diversivo per il successivo sequestro Moro. Ma posso sbagliare”.

Ivo Camicioli – Camicioli ha ricordato che all’epoca dei fatti era il segretario giovanile della sezione Tuscolano del Msi, ricordando le vicende della sezione negli ultimi anni, con le bombe che fioccavano e gli attentati, tra cui quello del 12 dicembre precedente. Camicioli ha ricordato poi di un fatto di un anno prima, che fu il precursore della strage: “Sette, otto persone, davanti alle colonnine, mi hanno sparato mentre rientravo in sezione, ma non uccisero nessuno”. “Poco prima del 7 gennaio, il 28 dicembre, racconta Camicioli, ci giunse la notizia della morte di Angelo Pistolesi, assassinato al Portuense (e il cui killer non è stato mai individuato), e mi recai  a via Statella proprio insieme a Francesco Ciavatta, sotto una pioggia battente”. Camicioli ha concluso dicendo che se si fossero effettuate indagini più accurate all’epoca, oggi si saprebbe la verità. “Oggi cosa rimane? Il fatto che la sezione sia ancora aperta, e quella targa che noi mettemmo un mese dopo la morte dei tre camerati. Oggi è rimasta solo quella dedicato a Francesco Ciavatta, dove c’è scritto: è stato inutile? non importa, noi ci credevamo”.

Maurizio Gasparri – “A quei tempi ero il segretario provinciale del Fronte della Gioventù. La sezione Tuscolano era una piccola sezione, animata da un manipolo di ragazzi. Il ricordo di quel giorno per me è indelebile: poiché ci avevano chiuso varie sezioni, noi eravamo al quartiere Prati a fare un volantinaggio, e mi ricordo che c’era Stefano Recchioni con me. Finito il volantinaggio, tornammo alle varie sezioni di appartenenza. Poi si sparse la notizia e andammo tutti ad Acca Larenzia, dove ritrovai proprio Stefano Recchioni. Il resto è noto. Tuttavia – ha concluso Gasparri – i tempi erano duri: non solo noi venivamo perseguitati, ma anche gli avvocati che ci difendevano venivano arrestati. Ma vorrei dire che questo tipo di reati non possono andare in prescrizione. Quei morti sono serviti a formare il terrorismo rosso, perché era facile andare a sparare a dei giovani disarmati presso le loro sezioni. Eravamo bersagli facili. Il terrorismo rosso si formò così, ed è una vergogna che ancora oggi non si riapra l’indagine, perché lì e allora si formarono le prime colonne delle Brigate Rosse. Insomma – ha concluso Gasparri – lancio un appello a Pignatone affinché riapra le indagini. Se non lo fa, compie un atto grave”.

Bruno Di Luia – “Oggi ricordiamo i nostri camerati, e non è una buona sera. Quegli anni erano veramente tristi, quando ci alzavamo la mattina per andare a difendere quei ragazzi che non potevano andare a scuola perché perseguitati dalla violenza rossa”. Di Luia ha ricordato la sua appartenenza ad Avanguardia Nazionale, ma anche il fatto che la comunità era una, senza distinzioni, e si lottava tutti insieme per la stessa idea. “Quella sera – ricorda Di Luia tra le lacrime – eravamo accorsi a via Acca Larenzia. Io ero in primissima fila, e davanti a me c’erano i dirigenti della Digos e tutti  i carabinieri schierati a 15 metri. Come avanziamo di tre passi, vedo un ufficiale dei carabinieri che arma la sua pistola e quindi mi sposto e mi volto per vedere gli altri che stavano facendo. Mentre guardo, vedo quel ragazzo caduto, era Stefano Recchioni: l’ho preso tra le braccia e l’ho caricato su una gazzella della polizia. Io mi sono seduto dietro con lui, e fu un viaggio che non scorderò mai. Quando la sua testa andava avanti, lui perdeva sangue: ma anche se era già morto, io ci ho parlato sempre, per tutto il tragitto. Come siamo arrivati al Pronto Soccorso del San Giovanni, ho raccontato subito tutto quello che avevo visto. Ebbene, successivamente, non sono mai stato chiamato da nessuno a raccontare la mia versione, quello che avevo visto. Mi è sembrato molto strano”.

Valerio Cutonilli – L’avvocato Cutonilli  ha scritto un libro molto accurato sulla strage di via Acca Larenzia, anche se a quell’epoca faceva la seconda elementare. Solo negli anni successivi, diventato avvocato, Cutonilli ha maturato una convinzione, ossia quella che il sangue dei fascisti valesse meno di quello di tutti gli altri. “Così ho scritto quel libro, sentendoci obbligati moralmente per onorare la memoria di quei ragazzi assassinato quella sera. In verità, il mistero della strage di Acca Larenzia è tale solo per chi ha indagato a quei tempi. Credo però che ci sia bisogno oggi di restituire la verità a tutta una comunità, ma non attraverso altre inchiesta a 40 anni di distanza, ma attraverso la storicizzazione di quel periodo. Io penso che ancora oggi ci siano in giro per Roma i membri di quel commando assassino, compresa quella persona claudicante che non fu mai cercata”. Cutonilli ha rievocato anche gli altri omicidi di quegli anni, a cominciare dal rogo di Primavalle, perpetrato dai “duri” di Potere Operaio. Per lo scrittore in quegli anni, insomma, ci furono morti di serie A, come Aldo Moro, e morti di serie B, come i ragazzi del Movimento Sociale. Cutonilli ha concluso ricostruendo la nascita e la formazione delle organizzazioni terroriste comuniste in quegli anni e ricordando che quando c’erano le rivendicazioni degli omicidi dei fascisti, le estreme sinistre – e non solo loro – applaudivano entusiasticamente. Cutonilli ha concluso dicendo che la strage di Acca Larenzia è inquadrabile nella strategia che allora stava nascendo, soprattuto a Roma Sud, attraverso un’area cosiddetta di cerniera, così definita dalla magistratura, che avvicinava di fatto le strutture clandestine e quelle solo simpatizzanti dell’estrema sinistra.

Marco Falvella – Il presidente dell’Associazione internazionale vittime del terrorismo, fratello di Carlo Falvella, assassinato dai comunisti a Salerno nel 1972, ha detto che ricordare quei giovani che sono morti per il proprio ideale è sempre importante. “Penso che purtroppo la politica non faccio differenze: la politica è tutta uguale, ha dimenticato i suoi giovani, non fa più nulla”. Falvella ha detto un troppo lungo elenco di morti, non riconosciuti come vittime del terrorismo ma di matrice politica, che sembrano appunto morti di serie B, C e D”. Falvella ha poi descritto le attività dell’Associazione che presiede e le numerose iniziative intraprese tra mille difficoltà e disinteresse, denunciando le carenze della politica anche in questo fondamentale argomento. Falvella ha anche illustrato il suo progetto per aprire un museo del terrorismo mondiale, con i nomi di tutti i caduti e le circostanze in cui furono uccisi.

Domenico Gramazio – Gramazio, animatore della sezione del Msi di piazza Tuscolo Appio-Latino-Metronio e oggi direttore della rivista Realtà nuova, è quello che ha voluto e roganizzato il convegno. “Oggi abbiamo portato i nostri martiri a casa nostra, il loro ricordo, e per la prima volta hanno parlato testimoni diretti della strage di Acca Larenzia. Era doveroso e l’abbiamo fatto, qui nella casa della destra italiana. Io ricordo bene quella sezione, ha detto Gramazio, ricordo Giosuè Caradonna, Tommaso Luzzi che furono segretari. È una storia che dobbiamo ricordare e tramandare”. Gramazio, che fu tra i primi ad arrivare quella sera, ha annunciato nuove e più intense iniziative per ricordare i nostri Caduti e per non dimenticare.

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