Mafia Capitale, la Procura di Roma ci riprova e ripropone il teorema mafioso

1 Dic 2017 15:00 - di Paolo Lami

La Procura di Roma ci riprova. E ripropone, depositando l’atto di appello contro la sentenza di primo grado del processo cosiddetto “Mafia capitale” che ha escluso l’esistenza di un’associazione mafiosa sostenendo, invece, che vi fossero due associazioni semplici e distinte, il teorema mafioso per 19 dei 46 imputati. Ribadendo l’esistenza di una sola associazione di stampo mafioso e la fondatezza del 416 bis e dell’aggravante del metodo mafioso.

Lo scorso 20 luglio i giudici della Decima sezione penale del Tribunale di Roma avevano inflitto in primo grado agli imputati oltre 250 anni di carcere, rispetto ai 500 chiesti dai pm, facendo cadere l’accusa di associazione mafiosa che invece contestavano i pm Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli ma comminando, comunque, pene molto pesanti.

Per sostenere l’accusa di associazione di stampo mafioso, i pm parlarono di «riserva di violenza» ribaltando le risultanze di quanto emerso nel corso degli accertamenti e, cioè, che il deus ex machina della corruzione era Salvatore Buzzi il quale, a un certo punto, si era servito di Carminati utilizzandolo per portare a termine i suoi progetti. Tanto che Salvatore Buzzi utilizzava da molto tempo questo metodo grazie ai rapporti che aveva con il mondo della politica di sinistra e delle cooperative rosse.

I pm romani, invece, cercheranno di sostenere che il vero capo era Carminati, arrivato sulla scena della vicenda, molti anni dopo che Buzzi ha iniziato la sua attività di relazioni corruttive con il suo mondo di riferimento politico al quale non nega finanziamenti copiosi pur di ottenere lavoro, poi, per la sua coop.

«La lunga esperienza maturata da Buzzi nel settore della cooperazione sociale e gli stessi contatti, con politici ed amministrativi, costruiti nel tempo in relazione all’attività delle cooperative – scriveranno i giudici della Decima Sezione Penale nelle motivazioni della sentenza di primo grado con la quale demoliranno le suggestioni e i teoremi dei pm romani – sono stati da lui sapientemente utilizzati e sfruttati per la commissione di reati finalizzati, consentendo una innaturale espansione sul mercato, a potenziare i profitti delle cooperative e dei soggetti che di esse avevano la direzione e la gestione».

Per rafforzare il concetto della mafiosità dell’associazione, i pubblici ministeri romani erano ricorsi e si erano appigliati al passato remoto di Carminati quando, negli anni ’70, frequentava la banda della Magliana. Da qui alla suggestione di “Mafia Capitale” il passo deve essere sembrato brevissimo ai magistrati impegnati nell’inchiesta e, in particolare, a Pignatone, il capo della Procura, grandissimo amico del giornalista Lirio Abbate che sulla vicenda ha costruito una formidabile, scintillante, carriera anticipando di mesi – chissà come avrà fatto – in maniera puntualissima, proprio l’inchiesta dell’amico magistrato.

Il Tribunale si legge ancora nelle motivazioni della sentenza che ha messo fine alle speculazioni «non ha individuato, per i due gruppi criminali», quello presso il distributore di Corso Francia e quello riguardante gli appalti pubblici, «alcuna mafiosità “derivata” da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose». Per i giudici della X Sezione penale presieduta da Rosanna Ianniello le due associazioni non sono caratterizzate neppure da mafiosità “autonoma”.

«Non è possibile – scrissero i giudici negando, in radice, l’interpretazione “estensiva” promossa dai magistrati dell’accusa – stabilire una derivazione tra il gruppo operante presso il distributore di benzina, l’associazione operante nel settore degli appalti pubblici e la banda della Magliana, gruppo criminale organizzato e dedito ad attività criminali particolarmente violente e redditizie che ha operato nella città di Roma, ramificandosi pesantemente sul territorio, oltre 20 anni orsono, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90».

Ora il ricorso, con le identiche motivazioni, nella speranza di trovare un giudice che dia ragione alla Procura romana e al suo teorema su “Mafia Capitale” su 19 dei 46 imputati.

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