In pensione a 71 anni: l’agghiacciante destino dei giovani. Ecco i calcoli

6 Dic 2017 12:02 - di Guglielmo Federici

In pensione a 71 anni e due mesi. E’ questa l’agghiacciante prospettiva, secondo i calcoli dell’Ocse, per i giovani italiani che hanno iniziato a lavorare nel 2016. Un poco invidiabile ‘record’ per il nostro Paese (peggio di noi solo i futuri pensionati danesi, che si ritireranno solo a 74 anni) mentre la media dei Paesi dell’area si attesta a 65,5 anni. Secondo il rapporto ‘Pension at a Glance 2017 l’Italia, essendo uno dei pochi paesi ad avere vincolato l’età pensionabile all’aspettativa di vita, vedrà un progressivo incremento dell’età in cui si potrà abbandonare il lavoro, fino a un massimo di 71 anni e 2 mesi per i giovani che hanno iniziato a lavorare nel 2016. A compensare questo dato il fatto che nel nostro paese l’età effettiva di pensionamento e di uscita dal mercato del lavoro sia per gli uomini di 4,4 anni inferiore a quella di uscita per vecchiaia (66,6 anni), la differenza maggiore nell’area Ocse. Il dato di uscita effettivo si attesa a 62,1 anni, uno dei più bassi fra le principali economia (il record è della Francia con una età effettiva di soli 60,0 anni per gli uomini).

LE RISORSE – Tra gli altri primati dell’Italia in materia pensionistica vi è il tasso di contribuzione previdenziale che si attesta al 33% (9,2% da parte del dipendente e 23% da parte del datore di lavoro), un valore quasi doppio della media Ocse (18,4%). Ma l’Italia è al top anche per le risorse destinate al sistema che con un valore 2013 pari al 16,3% del Pil sono a un passo dal record della Grecia (17,4%). E nel periodo 2000-2013 le risorse destinate a questo settore sono aumentate in Italia del 20,9%, arrivando ad assorbire il 31,9% della spesa pubblica, il massimo nell’area Ocse, dove la media è del 18%. Ma se a livello globale, spiega l’Ocse, la spesa pensionistica è “aumentata e dovrebbe continuare a crescere nel breve termine in gran parte” dei paesi membri, per l’Italia il trend di spesa è piuttosto stabile nel medio termine e per il 2050 mostra un calo al 14,8%, un valore che all’epoca non sarà più così eccezionale nell’area Ocse.

LA POPOLAZIONE – Nel 2050, sempre secondo le stime Ocse, il nostro sistema previdenziale sarà gravato da un tasso di dipendenza degli anziani, definito dal rapporto tra le persone nella fascia di età oltre i 65 anni e la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) che si raddoppierà rispetto al già ‘pesante’ 37,8%: per allora ci saranno 72,4 pensionati ogni 100 lavoratori, stesso valore della Corea e solo leggermente meno dei 77,8 del Giappone e dei 77,5 della Spagna. Tuttavia il progressivo invecchiamento della popolazione – che oggi pesa su sistemi come quello italiano – andrà a impattare in maniera notevole anche in paesi ‘giovani’ come Messico e Turchia, dove il tasso di dipendenza passerà dai rispettivi livelli di 11 e 13 a 55 e 54.

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