Economia e lavoro, la terza via del patriottismo sociale

11 Dic 2017 15:45 - di Mario Bozzi Sentieri

Tra Matteo Salvini, che si erge a paladino della lotta contro il nuovo schiavismo, facendosi garante dei nuovi minimi salariali e dell’abolizione della legge Fornero sulle pensioni, e Silvio Berlusconi impegnato a sventolare la storica bandiera della “Rivoluzione liberale”, c’è spazio per una terza, organica via, in grado di enucleare, da destra, un’originale proposta economica ?

Nella misura in cui dirsi patrioti – come ha sottolineato Giorgia Meloni, durante il suo intervento conclusivo al II Congresso di Fratelli d’Italia – non significa sventolare l’orgoglio di un’appartenenza, quanto soprattutto declinare identità, prassi quotidiana e visioni di lungo periodo (quindi in grado di rispondere alle debolezze strutturali del Sistema-Italia), il campo economico e sociale è quello dove maggiormente si giocherà – anche nel centrodestra – la prossima sfida elettorale e la credibilità di chi ha l’ambizione di dare il proprio contributo decisivo alla trasformazione nazionale.

Da qui la necessità che, fuori dalle vecchie gabbie ideologiche e al di là di una scontata propaganda, sia necessario compiere un’attenta analisi di prospettiva, che non si limiti agli interventi congiunturali, ma che guardi ai mercati e ai più ampi assetti dell’economia come ad un fenomeno sociale complesso, nel quale entrano in gioco fattori diversi.

Proviamo a sintetizzarli. Al primo livello, quello politico, c’è la necessità di ritrovare il senso della sovranità, esautorata dal profitto globalizzato. Al secondo quello di introdurre nella vita economica i valori etici. Al fondo l’idea della “funzione sociale” della proprietà.
Da lì partono una serie di conseguenze economico-sociali e politico-culturali. Riconoscere la funzione sociale della proprietà significa superare finalmente certi “assoluti”, dando alla proprietà ruoli e compiti di portata generale. Vuole dire comprendere che esistono degli interessi nazionali a cui la singola azienda non può derogare, nella misura in cui la sua esistenza è fondata non solo sul diritto del proprietario, quanto anche sul lavoro dei suoi dipendenti, sul contesto sociale in cui opera, sul senso di una Storia e dunque sui contributi, materiali e spirituali, della comunità d’appartenenza.

Vuole dire operare in ragione del contemperamento degli interessi in campo, evitando di rinchiudersi nella mera difesa del “ diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più assoluta”, con i risultati che, oggi, sono bene evidenti a tutti: esasperate delocalizzazioni, cesura tra economia reale ed economia finanziaria, conseguente finanziarizzazione delle imprese industriali, perdita del valore del lavoro e della centralità del lavoratore.

Dire “funzione sociale” non significa allora trincerarsi dietro uno slogan ad effetto, ma andare al cuore della Grande Crisi, cercando di superarla veramente, richiamando ciascuno a fare il proprio dovere, senza perdere di vista la complessità della vita economica e sociale, la quale non può evidentemente essere rinchiusa nell’atomismo individuale, nella mera difesa degli interessi materiali del singolo, nell’utile immediato, portato di una visione assoluta della proprietà.

È certamente un problema culturale ed etico, ma non solo. È la capacità di guardare fuori dai ristretti ambiti aziendali, riacquisendo una visione “di sistema” , che perfino i maestri del liberismo economico non potevano negare, salvo poi delimitare la funzione dello Stato a quella di “cornice”, in quanto dispensatore di servizi e garante della sicurezza.

Rispetto a questi diversi “livelli” (politico, etico, sociale) c’è la necessità di immaginare interventi mirati, in grado di rendere evidente – nel concreto – una nuova sensibilità economica e sociale.

E allora c’è bisogno di piani d’azione (piano giovani, piano casa, piano povertà, piano famiglia), che fissino priorità e scadenze, le quali, preso atto delle diverse emergenze, indirizzino le risorse in modo chiaro. C’è bisogno di una mobilitazione generale dell’intero Paese (attraverso adeguati strumenti di rappresentanza) consapevoli che in gioco ci sono i più vasti destini nazionali, oltre che quelli economici e sociali di una parte. C’è bisogno di una nuova volontà politica in grado di coniugare Patria e Lavoro, com’è nella migliore tradizione della “destra all’italiana”. Oggi più che mai il vero patriottismo è sociale o non è.

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