«Un amico di mio padre mi molestò a 9 anni». Il racconto di Cecilia Strada

7 Nov 2017 9:31 - di Redazione

«Avevo nove anni, l’apparecchio ai denti ed ero sola a casa». Comincia così il racconto fatto da Cecilia Strada sulle molestie subite quando era solo una bambina. “#Metoo”: anche io, scrive la presidente di Emergency su Facebook, collegandosi alla lunghissima scia di donne che nelle ultime settimane, dopo l’esplosione del caso Weinstein, hanno raccontato di aver subito molestie e ricatti.

Cecilia Strada, ecco che cosa accadde

«Il mondo era ancora un posto senza cellulari e si chiamava sul telefono di casa – scrive la Strada – “C’è la mamma? C’è il papà?”. Sono a lavorare, dico al signore all’altro capo del filo: quaranta o cinquant’anni più di me, importante e stimato professionista, amico di papà. “Quindi sei sola a casa?”. Qualcosa nel suo tono non mi torna. La me stessa di trent’anni più vecchia dice “metti giù”. La me stessa di nove anni dice “sì”. “E come sei vestita?”. Il suo tono mi torna sempre meno, ma sono imbarazzata, è un uomo adulto, è un amico di papà, la mamma mi ha insegnato a essere sempre gentile, glielo dico. Ho i jeans e la maglietta. “E le mutandine? Di che colore sono le mutandine?”. La trentanovenne ora strilla “Metti giù! Mandalo affanculo – metti giù  – chiama la mamma!”. La novenne si sente gelata di vergogna, ma che cosa posso fare per uscire da questa situazione? Per chiudere prima possibile, ma senza essere maleducata, perché mi hanno insegnato ad essere sempre educata, e comunque questo è un adulto, mi ripeto, un amico di papà, non posso mica mettere giù. Anche se sono fredda gelata e adesso ho anche un po’ paura. Dico “Non mi ricordo”. “Allora guarda. Metti una mano nei jeans e guarda di che colore sono”. Non lo voglio fare. È tutto sbagliato. Non so come uscirne. Improvviso: “Non posso farlo. Perché… – la trentanovenne: perché sei un porco pedofilo di merda, ecco perché! – perché sono troppo stretti”, dico. “Mi piacciono i jeans stretti” – fa lui – la trentanovenne urla “Cretina! Bella improvvisazione! Allora potevi anche dirgli scusa-ma-sto-facendo-merenda-con-una-bella-banana!”. Lui va avanti: “se sono così stretti devi tirarli giù, per guardare bene”. A quel punto divento un blocco di pietra. Una sensazione fisica: mi sento tutta dura, fredda. Un unico blocco. Di pietra. Dico “No, non posso”. Insiste. Insisto anch’io: “No, non posso, sono troppo stretti per tirarmeli giù”. Mi attacco alla mia improbabile scusa, mi rendo conto che è assurda, ma la ripeto e la ripeto, insisto. No. Dopo un po’ desiste, saluta, mette giù».

La denuncia

Nel lungo post-denuncia, Cecilia Strada prosegue ricordando le sensazioni contrastanti provate subito dopo aver agganciato la cornetta. «Rimango per un’ora seduta per terra vicino al telefono, sentendomi schifosa. La trentanovenne mi dice: “Lo sai che tu non hai fatto niente, vero? Ha fatto tutto lui”. Ma io mi sento uno schifo». «Non so che cosa abbiano fatto, ma il tizio non ha più telefonato a casa mia. Qualche anno dopo è morto. E mi spiace aver perso l’occasione di chiamarlo finché ne avevo il tempo, per fargli fare due chiacchiere con la me stessa grande. “Sono quella che aveva nove anni quando volevi guardare le sue mutandine. Che mi dici ora?”. Magari sarebbe rimasto impietrito di vergogna, come me allora, con la cornetta in mano».

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