Libia, Gheddafi non è finito: il cugino porta avanti la sua battaglia

14 Nov 2017 14:53 - di Redazione

Nelle stanze di un lussuoso appartamento nel quartiere esclusivo di Zamalek, nel centro del Cairo, un gruppo di sostenitori del defunto colonnello Muammar Gheddafi sogna un ritorno in grande stile del clan che per oltre 40 anni ha tenuto in mano le redini della Libia. A guidarlo è il cugino del colonnello, Ahmed Gaddaf al-Dam, ex gerarca del regime e ora leader dei gheddafiani che dall’Egitto guardano a Tripoli con l’intento di tornare un giorno nelle stanze del potere. Ogni settimana il gruppo si riunisce nella sua casa di Zamalek per discutere del futuro politico della Libia, a sei anni di distanza dalla morte del colonnello. Quell’evento ribaltò il destino dei tanti che avevano vissuto all’ombra di Gheddafi una vita di privilegi. La caduta del regime significò per migliaia di persone l’obbligo di lasciare il Paese. Molti, come Gaddaf al-Dam e i suoi seguaci, ripararono in Egitto. Da allora bramano di avere voce in capitolo nella nuova Libia che si sta faticosamente plasmando. Con quasi tutti i figli di Gheddafi fuori dai giochi ricercati, negli ultimi tempi Gaddaf al-Dam si è affermato come il principale portavoce della famiglia. L’ex ambasciatore al Cairo oggi rappresenta le speranze dei libici che sognano di riannodare il filo interrotto dalla rivoluzione e, nello stesso tempo, le ansie di molti altri che temono il ritorno del regime. Con il Paese sempre più nel caos, dilaniato dalle violenza e al centro della crisi dei migranti, Gaddaf al-Dam vede uno spiraglio per un clamoroso revival politico. Per questo, insieme ai suoi uomini, sta coltivando legami sempre più stretti con influenti tribù ed ex rivali disillusi dall’inerzia politica, con l’obiettivo di minare le basi del debole governo sostenuto dall’Onu. Questo gruppo vede un’occasione nel nuovo piano delle Nazioni Unite per portare la pace nel Paese nordafricano e che prevede possibili elezioni già il prossimo anno. Ad accendere in loro ancora di più la speranza è stata la scarcerazione, avvenuta quest’estate, di colui che, tra gli eredi del colonnello, era stato designato come suo erede: Saif al-Islam Gheddafi. “Non ci sarà pace senza di noi – dichiara Gaddaf al-Dam – Rappresentiamo la maggioranza dei libici. Vogliamo sistemare le cose e correggere il passato”. Il “passato” di cui parla di cugino di Gheddafi è la rivoluzione, uno dei capitoli della cosiddetta Primavera araba, e la conseguente repressione da parte del colonnello che portò alla reazione della comunità internazionale e ai raid della Nato che nel 2011 demolirono il regime. Da allora Gaddaf al-Dam non è più tornato nel suo Paese. Nel 2013, nell’immediata fase post-rivoluzione, le autorità libiche spiccarono un mandato di arresto nei suoi confronti e ne chiesero l’estradizione insieme ad altri ex gerarchi. La polizia egiziana fece irruzione nel suo appartamento e lo condusse in carcere. Venne poi assolto perché i suoi avvocati riuscirono a dimostrare che aveva passaporto egiziano – grazie alla madre – e che aveva lasciato la Libia, disertando, per protestare contro l’uccisione dei manifestanti anti-regime. Oggi un suo nuovo arresto appare quanto mai improbabile. Gaddaf al-Dam, infatti, è molto vicino al presidente, Abdel Fattah al-Sisi, e lo dimostrano le sue continue apparizioni in tv, da dove rilancia il suo credo senza mediazioni: i resti del vecchio regime – sostiene il cugino del defunto colonnello – devono essere inclusi in qualsiasi soluzione politica mediata dall’Onu e dall’Occidente. “Noi siamo il vero regime – afferma – Quelli che comandano ora sono arrivati in cima grazie ai missili, ma i missili non creano legittimità”. Da pochi mesi le Nazioni Unite hanno annunciato una nuova strategia per la Libia che prevede un referendum su una nuova Costituzione ed elezioni presidenziali e parlamentari. Il rappresentante speciale dell’Onu per la Libia, Ghassan Salame, ha annunciato che nella nuova fase politica saranno aperte le porte a “coloro che sono stati ostracizzati, agli auto-emarginati e a quei soggetti che finora sono stati riluttanti ad unirsi al processo politico”. Musica per le orecchie dei gheddafiani. Il defunto leader “vive ancora nel cuore di milioni” di persone, dice Gaddaf al-Dam.

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