“La Repubblica”, una sprangata contro la destra: Francesco Merlo l’ultimo katanga

5 Nov 2017 18:42 - di Aldo Di Lello

Queste parole, Francesco Merlo, brillante editorialista de la Repubblica, se le poteva proprio risparmiare: “Tulliani è anche la riprova che la fine è la perfezione dell’inizio, e cioè che noi, cinquant’anni fa, su quelle fogne non ci eravamo poi tanti sbagliati”. Merlo usa la prima persona plurale per indicare l’estrema sinistra del tempo che fu. Parecchie righe prima, nello stesso articolo (uscito oggi), l’editorialista scrive a proposito della destra: “Noi li avevamo scelti come avversari già quando avevamo vent’anni: ‘Fascisti, carogne / tornate nelle fogne’. E quando ne abbiamo avuti quaranta, e poi cinquanta, e poi sessanta contro di noi c’erano sempre loro”.

E già, “contro di noi c’erano sempre loro”. Finalmente Francesco Merlo ha gettato la maschera. Per anni, il Merlo spiritoso, s’è presentato a noi come un “amico”. Ha sempre seguito puntualmente  la vita di Alleanza nazionale con i suoi istoriati articoli di “colore”. E ci apparve, quasi fosse un alieno buono da film di Steven Spielberg, già nel Big Bang della destra di governo.  Era il 22 novembre del 1993, il giorno dopo il boom del Msi e di Gianfranco Fini alle elezioni romane. Si presentò al  Secolo d’Italia durante la riunione di redazione. All’epoca lavorava al Corriere della Sera. Si intrattenne con noi, che in quel giorno eravamo tutti su di giri, prese appunti. L’indomani uscì la sua prima corrispondenza dal “pianeta fascista” che entrava di prepotenza nel firmamento della politica che “conta” .

Non fu il solo, tra i giornalisti di “regime” , come fino ad allora li avevamo chiamati, a fare il Grand Tour nell’esotico mondo della destra. Tra le rovine del fascismo s’era formato un nuovo “popolo”, ai loro occhi semibarbaro, ma comunque un popolo vitale e in rapida espansione. Un popolo che incuteva paura, perché faceva saltare i codici ideologici fino a quel momento egemoni. E allora, con furbizia,  i giornalisti di “regime” puntarono sull’effetto “simpatia”, inventando il “colore” di destra: non eravamo più rappresentati come i “biechi fascisti” di una volta, ma come arcitaliani un po’ naif. L’obiettivo era chiaro: depotenziarci politicamente, defraudarci di quello spessore tragico che ci apparteneva geneticamente.

Oggi, prendendo spunto dalle grottesche modalità dell’arresto a Dubai di Giancarlo Tulliani,  Francesco Merlo pensa di concludere la sua opera buffa sul mondo della destra con questa nota delirante ed esilarante: “Non sembra infatti vero che un mezzo gaglioffo di risulta, uno scarto del generone romano abbia messo fine in questo modo sgangherato a una pagina densa del Novecento italiano, quella del fascismo dopo il fascismo”. Questo non è giornalismo e neanche legittima polemica politica. Questo è vero e proprio teppismo politico. E’ una sprangata in piena regola, una sprangata a tradimento, come quelle che erano soliti infliggere gli appartenenti ai famigerati “servizi d’ordine” dell’estrema sinistra degli anni Settanta. Il primo e il più noto si chiamava “katanga”. Ecco, Francesco Merlo è l’ultimo katanga. Per anni, quando si mostrava a  noi come “amico” ha evidentemente nascoso la spranga sotto il cappotto.

 

 

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