Federico II, le armi e gli amori nel romanzo storico sulla “Marca gioiosa”

12 Nov 2017 12:58 - di Adele Sirocchi

Dalla Provenza devastata dalla crociata contro gli Albigesi alla Marca trevigiana dominata dalla famiglia ghibellina di Ezzelino da Romano, il viaggio del giovane Amalrico è itinerario storico e di conoscenza.

Lo ricostruisce, con una scrittura affascinante e con un’aderenza notevole allo scenario storico di riferimento, il romanzo di Roberto Plevano Marca gioiosa (Neri Pozza, pp. 480, euro 18), in cui il protagonista affianca la sua personale formazione alla partecipazione sofferta agli eventi dell’epoca.

Amalrico sperimenta infatti l’odio e la guerra, l’amore e i rimari cortesi, la medicina e la filosofia, l’arte del buongoverno e quella dell’obbedienza alla ragion di Stato. Attraverso i suoi occhi, dunque, rivivono nell’oggi orrori storici accanto a valori ormai perduti. L’orrore principale: l’odio religioso contro i catari cui Amalrico assiste impotente, restando segnato per sempre dal massacro di donne e bambini perpetrato a Béziers. I valori perduti: la fratellanza d’arme, la fedeltà alla donna amata, l’idea imperiale come veicolo di pace e stabilità oltre i particolarismi.

Accanto ai grandi temi cui Plevano, che è un medievista, attinge, c’è un intreccio narrativo che presenta sulla scena personaggi storici e di fantasia, dai tratti vivi e credibili: c’è il giullare Uc de San Sir, il medico ebreo Mesulla Ben Jacob, il “sacerdote” cataro Pons Jourda e ancora Eccelino (Ezzelino III), spietato conquistatore e amante dell’assalto,  e l’adorata Cunissa,  Sordello da Goito e ancora Federico II, con il suo sguardo magnetico color acquamarina. Sullo sfondo, la rissosità dei Comuni, le ambizioni del Papato, la marginalità dei ceti non tutelati e abbandonati, come cose inerti,  alla corrente impetuosa degli eventi.

Sono tutti elementi che rendono il romanzo di Plevano un affresco imperdibile, per lo squarcio di conoscenze ulteriori che apre sull’età medievale presa in considerazione e perché dimostra che il romanzo storico non sempre deve scendere al livello del feuilleton per avere successo di pubblico e di critica.

 

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