Strage di Bologna, ora è scontro all’interno della Procura

26 Ott 2017 16:44 - di Massimiliano Mazzanti
Strage di Bologna

Con la richiesta di avocazione delle indagini sulla così detta “pista dei mandanti” – elaborata da Paolo Bolognesi, deputato del Pd e presidente dell’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto e per la quale ben cinque procuratori della Repubblica di Bologna avevano chiesto l’archiviazione -la Procura generale felsinea apre un inedito e clamoroso scontro tra magistrati sulla già grottesca vicenda giudiziaria della strage alla stazione di 38 anni or sono.

Adesso, la palla è tra i piedi di Francesca Zavaglia, giudice per le indagini preliminari a cui spetta il compito di stabilire i confini, anche temporali, della nuova inchiesta, ma i “rumors” del tribunale petroniano già dicono che saranno concessi nove mesi per la “nuova” inchiesta. Esulta Bolognesi, ovviamente, il quale aveva dovuto trangugiare mesi or sono il “rospo” della richiesta di archiviazione da parte della Procura ordinaria e che, invece, ora, “incassa” l’apparente, duplice vittoria del rinvio a giudizio di Cavallini – nella tranche secondaria dell’iniziativa posta in essere dall’Associazione – e del proseguimento delle indagini sul troncone principale. Peraltro, a Roma, pende anche un terzo segmento dell’iniziativa di Bolognesi, quella relativa ai presunti depistaggi e su cui i giudici della capitale non si sono ancora espressi.

Cosa ci sia di positivo, però, è un mistero chiaro, appunto, solo agli occhi dell’esponente del Pd. Sulla strage di Bologna, infatti, non esistono più solo”due fronti intellettuali”, coi soli Bolognesi e uomini del Pd locale e poco più impegnatissimi a difendere l’impianto delle sentenze passate in giudicato dalle prospettive che si sono aperte grazie alle scoperte effettuate in diverse commissione parlamentari (Lodo Moro, pista palestinese, presenza di terroristi legati a Carlos il 2 agosto a Bologna, ecc.), da una parte; e un articolato fronte di intellettuali, opinionisti, storici ed ex-magistrati, dall’altra.

Ora, la spaccatura diventa verticale anche tra gli inquirenti petroniani ed è una spaccatura profonda ed evidente. La tesi che Bolognesi propugna è nota: dimostrare come i principali fatti di sangue della stagione degli “anni di piombo” fossero tra loro tutti collegati e frutto di un unico disegno che avrebbe visto Licio Gelli manovrare nell’ombra, con l’evidente obbiettivo d’impedire “l’evoluzione democratica” del Paese, cioè, l’approdo della Sinistra (del Pci di allora) al governo. Ovviamente, col coinvolgimento dei “neri”, della Cia e dei segmenti oscuri del potere militare e politico democristiano degli anni ’70.

Francamente, una tesi difficile da discutere oggi a livello giudiziario, non fosse per altro, perché a partire da Gelli, gran parte dei chiamati in causa dalle carte dell’Associazione sono morti. Peraltro, tesi che si scontra, anche sul piano storico, con un’evidenza mai ben sottolineata, quando si parla delle trame occulte che avrebbero impedito al Pci – per volontà di Gelli e, come sostengono anche gli ambienti “travagliani”, della Dc di Giulio Andreotti, il quale sarebbe stato il capo vero della P2 – e che si può facilmente riassumere con una domanda retorica: se il 16 marzo 1978 Aldo Moro fosse scampato miracolosamente all’agguato delle Br e fosse giunto alla Camera dei deputati per tenere a battesimo il nuovo governo (quello della solidarietà nazionale, quello coi ministri e con la linea politica in gran parte concordati con Berlinguer) a chi avrebbero concesso – anzi a chi  concedettero, visto che i comunisti la votarono ugualmente, a sequestro avvenuto – la fiducia lo stesso Moro e lo stesso Pci? Appunto, a Giulio Andreotti, il quale, quindi, secondo Bolognesi almeno, nelle stesse ore avrebbe tramato, tramite Gelli, per far naufragare l’esperimento politico di cui era primo attore e che, naufragando l’anno successivo, l’avrebbe poi visto fuori dalla principale stanza del potere per un intero, successivo decennio (tornerà al vertice di Palazzo Chigi solo nel 1989).

Insomma, tanta fantasia che, dopo aver stomacato anche una nutrita schiera di intellettuali della stessa Sinistra, oggi divide anche i magistrati di Bologna.

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