Sindacati, il lamento di Di Maio: «Un polverone per aver chiesto trasparenza»

1 Ott 2017 18:18 - di Michele Pezza

Luigi Di Maio affida ad un lunghissimo (e chissà in che misura farina del suo sacco) post su Facebook il compito di replicare alle  accuse di autoritarismo e scarso rispetto delle regole della democrazia seguite al suo drastico avvertimento al sindacato («O vi autoriformate o vi riformeremo noi dal governo»). Il candidato premier del M5S parla di «polverone», ma è evidente che una reazione tanto corale e veemente non se l’aspettava. Da qui la necessità di stemperare un po’ i toni molto netti del giorno prima condendo in salsa grillina quello che ai più è apparsa come la minaccia di modificare unilateralmente le regole della rappresentanza nel mondo del lavoro.

Di Maio ha replicato alle critiche con un post su Fb

E così il perentorio aut-aut del giorno prima lascia il posto a toni più soft e meno ultimativi. L’unico trait d’union tra le due dichiarazioni è la confusione. Di Maio, infatti, mette in un unico calderone le critiche al sindacato e le accuse al governo. Al primo rimprovera di difendere i «privilegi della politica» piuttosto che «gli interessi dei lavoratori», al secondo di «aver varato il Jobs Act» e «l’abolizione dell’articolo 18», due misure che però, come ha ricordato lo stesso Di Maio «la stessa Cgil ha più volte criticato e condannato». Qui però Di Maio dovrebbe spiegarci come fa ad essere in disaccordo contemporaneamente con sindacato e governo su Jobs Act e articolo 18 visto che il primo si è battuto contro questi due provvedimenti che anche lui critica. Ma lasciamo perdere. Intendiamoci: gran parte di quel che sostiene, buon ultimo, il candidato premier grillino è auspicabile.

Il M5S punta agli elettori del centrodestra

Ma Di Maio ha scoperto l’acqua calda. Se lui ha dovuto sorbirsi qualche rimbrotto e beccarsi qualche insulto da parte dei sindacalisti, qualcun altro ha dovuto sopportare ben altro. Al governo Berlusconi, ad esempio, toccò fronteggiare una manifestazione con tre milioni di manifestanti fatti affluire al Circo Massimo di Roma dalla Cgil di Sergio Cofferati in difesa di uno Statuto dei Lavoratori nato nel 1969. Oggi Di Maio dice: «Se il lavoro cambia, solo un sindacato chiuso in se stesso, fisiognomicamente più vicino a una casta ideologizzata e ancorata al passato può non capire che deve cambiare». Giusto, ma chissà quanta ironia dispensò nei suoi spettacoli l’allora (solo) comico Beppe Grillo nei confronti dello «Psiconano di Arcore» che voleva fare esattamente quel che oggi al campione grillino sembra la scoperta dell’America: riformare la rappresentanza sindacale per restituire slancio ed energia al mondo del lavoro e della produzione. Di Maio lo sa ma non potrà mai ammetterlo. La sua missione di candidato premier consiste nel tentare di erodere consensi a destra. Che poi vi riesca, è tutta un’altra storia. 

 

 

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