Referendum, in Veneto affluenza del 60%. In Lombardia dati a rilento

23 Ott 2017 0:23 - di Ezio Miles

Risultato a doppia faccia quello del referendum per l’autonomia in Lombardia e in Veneto. Se nella regione governata da Zaia l’affluenza ha superato abbondantemente il quorum del  50% raggiungendo il 60, in quella governata a sua volta da Maroni (che non aveva fissato alcun quorum) i dati sulla partecipazione degli elettori si presentavano,  un’ora dopo le 23.00 (ora della chiusura dei seggi) ancora incerti. Alla mezzanotte era noto  solo il dato delle ore 19.00: il 31%. Il governatore Maroni si è detto comunque sicuro che l’affluenza in Lombardia risulterà alla fine del 40%.

Tutto lascia pensare che l’idea-forza dell’autonomia è stata avvertita con intensità diversa dai rispettivi corpi elettorali delle due regioni.  Zaia ha ottenuto il successo politico più rilevante. Tant’è che  persino un’avversaria politica della Lega come Deborah Serracchiani, governatrice  del Friuli-Venezia Giulia ha riconosciuto il valore politico della consultazione nel Nord-Est: “Va sempre dato rispetto ai cittadini che escono di casa e vanno a votare. Sull’esito del referendum in  Veneto avevo pochi dubbi, essendo consapevole che i cittadini di questa regione sentono molto l’appello dell’identità e dell’autogoverno”.

Va detto che il successo politico del referendum avviene sulla spinta della domanda di autonomia amministrativa e di più diretto controllo delle risorse pubbliche da parte dei territori, tutte esigenze avvertite in modo speciale (e non da oggi) dai cittadini del “Lombardo-Veneto” . E la permanenza di queste esigenze in una fetta consistente della popolazione italiana è già, di per sé, un dato politico di rilevo.

Detto ciò, vanno anche rilevati due elementi problematici: 1) la consultazione referendaria non pare destinata a sortire effetti reali sul piano istituzionale, per il semplicissimo motivo che, per realizzare concretamente l’autonomia occorrerebbe un riforma costituzionale, possibilità esclusa dal fatto che ci troviamo nell’ultimo scorcio di legislatura (quindi parliamo eventualmente di un effetto a futura memoria); 2) la questione dell’autonomia regionale (che può comunque riguardare altre parti d’Italia) rischia di essere schiacciata dal più ampio confronto con l’Europa che l’intero sistema politico-amministrativo italiano dovrà affrontare nel prossimo futuro, in una congiuntura che s’annuncia piuttosto complicata.

A che cosa sarà servito, al dunque, il referendum in Lombardia e in Veneto? Milioni di cittadini che si recano alle urne rappresentano un fatto di cui tener conto, perché esprimono comunque un disagio diffuso e una voglia di cambiamento. Ma va anche ribadito che i problemi italiani (compresi quindi i problemi di veneti e lombardi) rimangono purtroppo inalterati. Per risolverli occorre una spinta davvero potente. Una spinta nazionale.

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