Ottantuno anni e non sentirli (ma anche sì). Auguri, Cavaliere…

29 Set 2017 14:24 - di Gloria Sabatini

«Auguri al “vecchio”, che avanzi il nuovo». Tweet firmato Francesca ’91. «Buon compleanno, presidente. Sei tutti noi…». È il post di Maria Luisa, da sempre innamorata di Silvio. Ottantuno candeline sono un bel traguardo per chiunque. Ma per Silvio Berlusconi lo sono un po’ di più. Non si contano le dimostrazioni di “sincero” affetto bipartisan (Bersani, tra i primi), gli auguri calorosi dei fan, le dichiarazioni di amore eterno (Nunzia De Girolamo scrive che “essere Berlusconi ed essere berlusconiano non è facile, ma, nonostante tutto, è semplicemente fantastico»), le esegesi giornalistiche sulla parabola politica-esistenziale del Cavaliere nato a Milano il 29 settembre ’36. Se Forza Italia non ha badato a spese tappezzando la città all’ombra della Madunina con manifesti di auguri al presidente, sui social è un valzer di commenti incentrati sull’eredità del grande “vecchio” a cavallo tra ironia e reverenza. 

Il capitano d’industria che finisce a Palazzo Chigi

Fininvest, Mediaset, Mondadori, Milano 2, Milano 3: un’escalation di miracoli economici (personali e pubblici) che hanno fatto di Berlusconi, anche a detta dei detrattori, un capitano d’industria da manuale. Poi tutto cambia: 1993, l’ingresso in politica (per salvare l’Italia dai rossi? Per difendere il suo impero?), la nascita di Forza Italia, la vittoria del 1994, lo sdoganamento controverso (i neo-fascisti ce l’avrebbero fatta da soli?) di Gianfranco Fini e del Msi in occasione del duello capitolino con Rutelli. E giù, per li rami: tre volte capo del governo, pluriministro, il linciaggio mediatico, la persecuzione giudiziaria, Ruby Rubacuori, le olgettine, i banchetti di Arcore, l’aggressione a Milano, gli interventi chirurgichi, le bandane e i colbacchi, le corna alla Merkel, il Libro rosso del comunismo per rosicchiare consensi ad An… 

Dagli yesmen alle dimissioni

E gli yesmen (troppi), i cagnolini, Veronica, i processi, la bufala dello spread per disarcionarlo. Le dimissioni. Il feeling con Renzi e i passi indietro. E molto altro. Nel bene e nel male. Tanti errori e tante prodezze. Tante ingenuità. Una galoppata pubblica di un quarto di secolo, un pezzo di  narrazione collettiva che ha segnato indelebilmente gli ultimi 25 anni di vita italiana. E che ha radicalizzato uno scontro ideologico di cui non si sentiva la nostalgia, per responsabilità di una sinistra (persino un politico di razza come D’Alema), accecata dall’odio per il Cavaliere nero. Un’Araba Fenice? Forse. Una fortuna per la sua corte devota. Una maledizione per avversari vecchi e nuovi.

Ritirarsi? Giammai

Ma quando leva il disturbo? Si chiedono ex alleati e nemici storici. Speriamo di no, pensano in segreto i giornalisti che con Silvio non vanno mai in bianco. Ma quando si rassegna a fare il padre nobile del centrodestra? Ma quanto si ritira nelle sue proprietà a leggere e scrivere le sue memorie? Non certo a spingere il passeggino dei nipotini, ma che almeno molli la politica attiva e la smetta di giocare a scacchi con gli alleati. Un grande attore sa che la sua memoria presso i posteri dipende anche dal coraggio di lasciare il palcoscenico prima che sia troppo tardi. E invece. Oggi festeggerà in famiglia, in privato. Ma da domani torna in pista, lo ha già detto. Le urne ancora lo stuzzicano. “Auguri”, certo. Ma se provasse solo a prendere in considerazione di lasciare lo scettro (un po’ anchilosato)e le regie occulte? La politica potrebbe rigenerarsi, inventare nuove dialettiche, pronunciare  parole nuove. A destra, a sinistra, al centro. Un cambiamento, una rivoluzione autentica, non quella declamata sotto i riflettori di Bruno Vespa. Ma questa per ora è un’altra storia

 

 

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