Migranti in gabbia, donne col velo e jihadisti armati: la mostra choc, a misura di buonisti

26 Set 2017 10:37 - di Lara Rastellino

Migranti in gabbia, donne col velo o nude e uomini cannone come jihadisti minacciosamente armati: fa discutere la mostra choc con installazioni viventi di scena a Milano. L’intento è quello di scioccare, forse intimidire, sicuramente provocare una reazione nel pubblico che, alla vista della performance, volutamente ispirata agli eccessi freaks del Circo Barnum a cui l’elaborazione socio-estetica chiaramente rimanda, non può che restare colpito dalla “plastica” rappresentazione.

Migranti in gabbia, mostra choc a Milano

E le immagini sono forti, decisamente forti: sono dei tableau vivant di immigrati in gabbia, con tanto di sbarre, ma su un carrozzone mobile di quelli tipici del circo equestre, quelli del Circo Barnum. Ammassati in quella sorta di cella su ruote ci sono due ragazze di seconda generazione, una di origine filippina e l’altra di famiglia egiziana, e due richiedenti asilo appena sbarcati in Sicilia da uno dei tanti paesi dell’Africa sub-sahariana da cui provengono. Sono rinchiusi in gabbia, e scrutati come animali alla zoo, disposti loro malgrado a farsi osservare e interrogare dai curiosi di passaggio. Una provocazione – come scrive il Giornale in queste ore – immigraty scorrect? , O, al contrario, un virulento richiamo al politically correct dovuto nell’accoglienza che siamo chiamati a garantire? Difficile rispondere in maniera netta e definitiva: decisamente l’installazione mescola incomprensione e pregiudizi in nome di un’assurdità che investe in chiave bipartisan ospiti e chi accoglie, sottolineandone tratti estremi e rilievi paradossali. La performance, che va in scena fino al 22 ottobre al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, nel contesto della mostra Resonance II, a cura di Adriaan Eeckles; voluta e organizzata dal CCR, il centro comune di ricerca che fa capo alla Commissione Europea, è dedicata al tema dell’uguaglianza e della disuguaglianza, e ispirata al motto «adattare, migliorare, avvicinare». 

Un tema spinoso che strizza l’occhio al Circo Barnum

Certo è che quando sotto un’ideale tendone circense si assembla lo “spettacolo” inquietante di aberrazioni e globalizzate, dove il vero mostro è chi si ferma a guardare inorridito, il sospetto che la lezioncina moraleggiante e la denuncia politically scorrect siano lì, pronte a strumentalizzare ad arte – è il proprio il caso di dirlo – il tema spinoso dell’immigrazione selvaggia, si annidano nei più reconditi pensieri di chi si ritrova a osservare con curiosità entomologica quei soggetti sui generis da incastonare, come in un impossibile puzzle, in una realtà normale e dolorosamente contrapposta. E allora, la domanda che la performance pone, sorge spontanea e torna a volerci interrogare sull’atavico dilemma: gli stranieri sono una «risorsa» o una «minaccia»? La risposta, forse, vorrebbe metterci con le spalle al muro, circondasti da dita puntate dai soliti buonisti: ma poi, forse, una donna coperta da un velo di fronte a un’altra in nudo integrale; un uomo cannone che, con tanto di barba jihadista, recita i versi bellici di Marinetti richiamando però le minacce dei veri terroristi dell’Isis –si farà esplodere o disinnescherà la minaccia è la domanda bis implicita nella performance – rispondono esaustivamente a perplessità etiche e dubbi buonisti.

 

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