Lotta al terrorismo, Stefano De Angelis ci spiega deficit e soluzioni

25 Set 2017 12:47 - di Alessandro Verrelli

Quella che si sta combattendo in questi anni è una guerra infame che gioca sul terrore delle persone, cercando di distruggerne le certezze ed annientarne lo stile di vita. Il terrorismo di matrice islamica, ormai, è una realtà e va contrastato con mezzi efficaci. Di queste e di altre tematiche abbiamo voluto parlarne con Stefano De Angelis (Chieti, 1986), Senior Research Fellow, consulente governativo e autore di libri di successo. Considerato uno dei più autorevoli studiosi di terrorismo islamico, warfare e homeland security a livello internazionale, oggi vive e lavora negli Stati Uniti d’America, dove collabora alla formazione e all’addestramento di agenti di polizia, forze speciali e contractors dell’antiterrorismo.

Stefano, benvenuto sulle pagine del “Secolo d’Italia”. Come è cambiato il rapporto dell’Occidente con il mondo islamico dopo l’attentato alle Torri Gemelli dell’11 settembre 2001 e come è mutato, invece, lo scenario geopolitico alla luce dell’uccisione di Gheddafi e, più in generale, della “Primavera Araba”?

Bisogna premettere che lo scenario è cambiato in maniera drammatica soprattutto sotto il profilo della sicurezza internazionale poiché, è oggettivo, viviamo in un mondo più insicuro. Prendiamo ad esempio lo Stato Islamico, che nasce da terroristi per i terroristi, un’entità inimmaginabile negli anni Novanta e che oggi è al centro dei nostri problemi in materia di sicurezza. O altri problemi che ci portiamo dietro inconsciamente da oltre quarant’anni e che, oggi giorno, sono diventati esplosivi. Basti pensare all’Iran o alla Corea del Nord. In definitiva siamo in un mondo molto diverso da quello precedente all’11 settembre del 2001.

Riguardo l’uccisione di Gheddafi e la “Primavera Araba” in generale, il risultato è stata la creazione di una condizione di instabilità cronica non solo nel Medio Oriente e nel Maghreb, ma anche in Europa. Accade, fondamentalmente, quello che il Presidente Berlusconi aveva predetto quasi dieci anni fa. Si è aperto un fiume umano di persone che attraversano il mediterraneo per riversarsi in Italia e nel vecchio continente, un fiume che difficilmente riusciremo a contenere con queste blande, o a mio avviso folli, politiche migratorie.

Negli ultimi anni le modalità di attacco, da parte dei terroristi, sono cambiate. Oltre ai grandi attentati siamo stati anche vittime di attacchi minori portati con mezzi di trasporto o tramite l’utilizzo di armi da fuoco, ordigni o coltelli. Vista la diversificazione dei tipi di attentato e premesso che non si può prevenire tutto, rimane il dubbio sull’efficacia dei metodi di prevenzione e difesa. Dove sono, secondo te, i maggiori deficit?

Se da un lato è impossibile impedire attentati terroristi di ogni genere, sicuramente dall’altro noi siamo molto carenti nell’attività di Intelligence, nelle attività di prevenzione e di contrasto al fenomeno terroristico oltreché in materia legislativa. In Italia, per esempio, ancora non riusciamo a tirar fuori una legge che definisca e dichiari il terrorismo come un reato a sé stante. Siamo fermi agli anni Settanta.

La condizione, più in generale, della sicurezza europea è molto fragile, in quanto non c’è un rapporto armonioso tra le varie forze di polizia europee e tra le diverse agenzie di Intelligence. Manca uno scambio di informazioni repentino e costante. Si lavora solo sui casi specifici e si evita di costruire una rete investigativa comune.

Quali azioni debbono essere messe in campo, a livello europeo e internazionale, per aumentare i livelli di sicurezza e contrasto al terrorismo, quindi?

Uno strumento immediato potrebbe essere la costruzione di una nuova Interpol, o meglio, il suo rafforzamento tramite nuovi mezzi, nuove forze e soprattutto dando a questa la possibilità di lavorare come un unico grande corpo di polizia su tutto il territorio europeo. Oggi, invece, l’Interpol si va a scontrare con le legislazioni nazionali ed è frenata dalle diatribe tra i diversi paesi che troppo spesso non comunicano tra loro e che, in certi casi, addirittura si negano informazioni. Queste mediocri rivalità campanilistiche vanno a lacerare il lavoro fatto dall’Interpol e dall’Europa devastando, di fatto, le possibilità di una rete di sicurezza comune. Detto ciò, mi sembra più che evidente che bisogna legiferare su tutto il territorio europeo in maniera unica ed univoca, non solo per il terrorismo, ma per il crimine in generale.

Il tema dell’immigrazione è un tema attualissimo. Quale rapporto c’è, a tuo avviso, tra questo fenomeno e gli attentati che vengono attuati nelle città europee?

Partendo da un principio basilare, e cioè che migrante non vuol dire jihadista, nel caso europeo, dove si è applicata una politica migratoria “No Sense”, dove sono stati fatti entrare fiumi di persone senza conoscerne minimamente il background personale, nel gioco dei grandi numeri non posso credere che siano tutte persone integerrime e devote alle nostre leggi. Quindi possiamo, anzi dobbiamo affermare, che il fenomeno migratorio influisce in maniera determinante sulla sicurezza o insicurezza, che dir si voglia, dell’Unione Europea.

Tu lavori e vivi negli Usa. Chiudo con una provocazione, l’Italia non aveva bisogno di un esperto antiterrorismo? Perché sei andato oltreoceano per esercitare la tua professione?

Io penso che l’Italia abbia profondamente bisogno dell’antiterrorismo, anzi, ne ha bisogno molto più che degli Stati Uniti, dove di esperti ce ne sono in discreta quantità. In Italia non ricordo fossimo schiere di persone in tale settore, tutt’altro. Il problema è che in Italia si è creato un meccanismo folle dove senza la famosa raccomandazione o la giusta tessera di partito non hai nessuna chance di esercitare un lavoro come il mio a livello governativo. Ad ogni modo, son contento e mi reputo benedetto di vivere in America, un Paese altamente meritocratico, dove mi è stato permesso di lavorare a livelli che mai avrei immaginato. Una Paese che da me ha voluto solo tre cose: onestà, fedeltà e produttività. Ammetto che soffro profondamente nel guardare da Oltreoceano, lo stato in cui versa la mia Italia, un Paese afflitto da perbenismo dilagante, sotto lo stretto controllo di pochi e con governi incapaci di attuare politiche virtuose per il popolo italiano. Spero in un drastico cambio di direzione con le prossime elezioni.

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