Longanesi, l’anarchico che coniò il motto: Mussolini ha sempre ragione

27 Set 2017 16:40 - di Antonio Pannullo

Oggi ricorre il 60esimo anniversario della morte di Leo Longanesi. Classe 1905, Longanesi è stato un innovatore assoluto nel campo mediatico e comunicativo: giornalista, scrittore, saggista, editore, illustratore, pittore, vignettista, grafico, fondatore di riviste leggendarie… ma non fu mai un politico. Non ne aveva le capacità: la sua schiettezza, il suo essere fustigatore di una classe politica inadeguata, la sua vocazione censoria, frondista, infatti gli crearono numerosi problemi durante e dopo il fascismo. Anzi, paradossalmente, durante il fascismo ha goduto di maggiore libertà, pur non essendo fascista, o meglio, essendo un fascista poco convinto, rispetto al regime antifascista, quando i “democratici” di ogni partito tentarono – vanamente – di fargli chiudere il Borghese, da lui fondato nel 1950. Longanesi ha dato sempre fastidio a tutti, col suo sarcasmo, con la sua pungente ironia, col gusto dello sberleffo e dell’irriverenza a tutti i costi. Proprio la sua creatura più famosa, Omnibus, prima rivista italiana stampata in rotocalco, “madre” di tutte le riviste illustrate italiane che seguirono, gli fu chiusa dopo solo due anni di vita dal fascismo per un articolo irriverente – non suo – su Giacomo Leopardi, mostro sacro del pantheon della cultura italiana. Longanesi insomma era un autentico genio, come riconosciuto da ogni parte letteraria e politica, e quando morì per un infarto improvviso, nel 1957 a soli 52 anni, mentre era in redazione, la commozione fu enorme. Su di lui sono stati scritti libri, innumerevoli articoli, ai quali certamente rimandiamo per un approfondimento. In questa sede basti ricordare che Leopoldo Longanesi fu un figlio autentico della cultura fascista, del suo humus, dell’atmosfera nuova  che vi si respirava, pur con tutte le sue contraddizioni e storture. Longanesi ebbe la fortuna di essere simpatico a Mussolini e stimato da Bottai, altrimenti sarebbe stato mandato al confino di corsa per le cose che scriveva e diceva. Del fascismo lui salvava solo il Duce e pochissimi altri, della democrazia nessuno. Famoso per i suoi aforismi, ci piace ricordare il seguente, riferito proprio a qualche elemento della classe politica post fascista: “Quando suona il campanello della sua coscienza, lui fa finta di non essere in casa”. Originale sempre, controcorrente spesso, Longanesi fu un convinto anticonformista, caratteristica che conservò costante.

Longanesi, un anticonformista per vocazione

Figlio unico di una famiglia agiata di Bagnacavallo, nel Ravennate, ha ricevuto un’ottima educazione, corredata anche di viaggi di istruzione in Italia e all’estero. Giovanissimo, iniziò a fondare giornali e a scrivere. “Sono un uomo inquieto uscito da una famiglia queitissima”, disse a questo proposito. Intanto abitava a Bologna dove, come disse, lasciò il cuore. Conosce tutte le menti del ‘900, daCicognani a Cardarelli, da Arpinati a Grandi, da Della Volpe a Morandi. Conosce Mino Maccari, che lo introduce nella cultura dello Strapaese, unica interpretazione del fascimo secondo Longanesi. Nel 1926 fonda l’Italiano, cui collaborano Cardarelli, Comisso, Furst e lo stesso Maccari. “Dio ci scampi e liberi dagli archi di trionfo e dai fasci…”, poté persino scrivere Longanesi. Nel suo Vade-mecum del perfetto fascista coniò tra l’altro la famosa frase Mussolini ha sempre ragione, che si presta anche all’ironia oltre che all’apologia. Non ci fu fenomeno del fascimo che non ebbe gli sberleffi di Longanesi: la battaglia del grano, la bonifica, la guerra in Africa orientale…, ma era stimato e poté persino avviare l’Italiano editore. E nonostante questo una volta Mussolini, incontrandolo gli disse che era un proprio un anarchico e di rimanere così. Nel 1931 si trasferisce a Roma e riceve l’incarico da Mussolini di allestire la Sala T nella Mostra della Rivoluzione fascista. Nel 1937 fonda Omnibus, cui collaborarono Montanelli, Moravia, Brancati, Flaiano, Soldati, Pannunzio, Benedetti, Savinio, autore quest’ultimo proprio del pezzo incriminato su Leopardi. Il governo lo chiude ma lui la prende con filosofia, anche perché nel frattempo i era sposato con Maria Spadini, dalla quale poi ebbe tre figli. Durante la guerra creò molti slogan tra cui il celeberrimo Taci, il nemico ti ascolta. Intanto illustrava, scriveva, si dava da fare. Dopo la caduta del fascismo Longanesi non si sentì più al sicuro e riparò in Abruzzo. Era inviso ai fascisti, che lo consideravano un traditore, e agli antifascisti, che lo consideravano un fascista. In questo periodo, a proposito della guerra, scrisse: “Il vero guaio è che non abbiamo perduto abbastanza: ci sentiamo quasi vincitori”. Dopo la guerra di stabilisce a Milano, dove continua la sua frenetica attività, disegnando anche pubblicità per l’Agip, la Vespa, la Guzzi, tra le altre. Nel 1950 f0nda il Borghese, cui collaborano Ansaldo, Montanelli, Prezzolini, Spadolini, Tedeschi, Savinio, Parise, Missiroli, Buscaroli e moltissimi altri. Col Borghese Montanelli fustiga l’Italia del boom, le pance piene, la cultura di massa, arrivando a scrivere parole che andrebbero scolpite nella pietra: “…quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che dilaga, noi ci troveremo a vivere in un Paese di cui non conosceremo più il volto né l’anima…”. Caro Longanesi, è il Paese in cui viviamo noi.

Commenti

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  • Giorgio Vitali 12 Gennaio 2018

    Leo LOnganesi, romagnolo fino al midollo, è comprensibile SOLO a distanza di mezzo secolo. LUI SI che aveva SEMPRE RAGIONE!