Medici senza frontiere rinuncia a salvare i migranti: “La Libia ci spara addosso”

12 Ago 2017 17:48 - di Redazione

Medici senza frontiere ha deciso di sospendere temporaneamente le attività di ricerca e soccorso della propria nave, la Prudence. È quanto sottolinea la Ong in una nota in cui spiega che a determinare la decisione sono state le «ulteriori restrizioni all’assistenza umanitaria indipendente e dell’aumento dei blocchi che costringono i migranti in Libia». L’équipe medica di Msf continuerà invece a supportare le attività di soccorso a bordo della nave Aquarius, di SOS Mediterranee, che al momento sta pattugliando le acque internazionali.

Medici senza frontiere: “Senza di noi aumenteranno i morti”

«Ieri le autorità libiche hanno dichiarato pubblicamente di aver istituito una zona di ricerca e soccorso (Sar) e limitato l’accesso delle navi umanitarie nelle acque internazionali al largo delle coste libiche. Subito dopo, il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Mrcc) di Roma ha allertato Medici Senza Frontiere (Msf) di un rischio sicurezza legato alle minacce pronunciate pubblicamente dalla Guardia Costiera Libica contro le navi di ricerca e soccorso umanitarie impegnate in acque internazionali», sottolinea Msf spiegando le motivazioni della decisione. «Se queste dichiarazioni verranno confermate e gli ordini attuati, vediamo due gravi conseguenze: ci saranno più morti in mare e più persone intrappolate in Libia – dichiara Loris De Filippi, presidente di Msf – Se le navi umanitarie vengono spinte fuori dal Mediterraneo, ci saranno meno navi pronte a soccorrere le persone prima che anneghino. Chi non annegherà verrà intercettato e riportato in Libia, che sappiamo essere un luogo di assenza di legalità, detenzione arbitraria e violenza estrema». «Queste dichiarazioni giungono appena una settimana dopo l’annuncio del dispiegamento di navi militari italiane all’interno delle acque libiche, per aumentare la capacità delle guardie costiere libiche di intercettare migranti e rifugiati e riportarli in Libia», conclude la Ong.

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