L’Anpi contro la via intitolata a Rauti. Torna lo spettro dell’uomo nero…

13 Ago 2017 19:29 - di Redattore 54

Anpi, Cgil e Sinistra italiana innalzano un lamentoso coro di indignazione per la scelta della giunta di Cardinale (Catanzaro) di intitolare una via a Giuseppe Rauti detto Pino, che in quel paese era nato. Una «deprecabile scelta» – la cerimonia di intitolazione era prevista per oggi  – per le forze di sinistra e antifasciste che, contro Rauti, rispolverano il consueto armamentario solitamente utilizzato contro Giorgio Almirante. Il fascista, il cattivo, la Spectre nera ecc.ecc. ecc.  La toponomastica ridiventa argomento di roventi polemiche. E il Corriere.it rilancia l’ardente bagarre ferragostana. Per inciso, Cardinale – paese guidato da un sindaco eletto con una lista civica, Giuseppe Marra – conta 2100 abitanti.

In ogni caso la segreteria regionale del Pd con una nota prende le distanze. «L’intitolazione di una strada a Pino Rauti, per quanto nel suo paese natale Cardinale, rappresenta una scelta grave e da condannare, perché per la prima volta in Italia si vuole celebrare una figura assolutamente controversa e oscura della storia del nostro Paese, che soprattutto nulla ha da condividere con i valori del Partito democratico». 

Figura oscura Pino Rauti? Una demonizzazione postuma (il leader della destra nazionalpopolare missina è morto nel 2012) che può attecchire solo tra i disinformati e i manichei. Pino Rauti è stato infatti prosciolto da tutte la accuse con le quali hanno cercato di coinvolgerlo nelle odiose stragi italiane: quella di Piazza Fontana e quella di Piazza della Loggia. Paradossale inoltre la circostanza che Rauti fosse considerato dall’opinione pubblica di sinistra un pericoloso fascista eversore mentre all’interno del suo partito i suoi oppositori lo criticavano perché “indossava la camicia rossa”. Rauti infatti propose in opposizione alla linea almirantiana di alternativa al sistema la costruzione di un fronte di protesta nazionalpopolare che garantisse le giuste battaglie sociali per le fasce deboli e non garantite dallo sfruttamento capitalista. Se volessimo semplificare, potremmo dire che il suo era un fascismo movimentista e di sinistra…

Pino Rauti viene spesso accostato a Ordine Nuovo ma sempre dimenticando di specificare che il leader missino (fu eletto segretario del Msi nel 1990 e si dimise dopo pochi mesi in seguito al tracollo dei voti della Fiamma in Sicilia) fondò nel 1956 il Centro Studi Ordine Nuovo e dopo decise di rientrare nel Msi (1969), partito da cui era uscito in seguito al congresso di Milano (in cui prevalse la linea di Arturo Michelini). E il Centro Studi, attenzione, è cosa diversa dall’organizzazione Ordine Nuovo messa fuori legge nel 1973. Non sono dettagli: quando si parla della storia della destra italiana chissà come mai sfuggono però ai più…

Inoltre non si considera la lenta – ma evidente nei suoi scritti – maturazione intellettuale di Pino Rauti che già a metà degli anni Settanta, nel pieno degli anni di piombo, prendeva le distanze dal Rauti degli anni Cinquanta, e indicava ai giovani militanti la strada del dialogo contro lo scontro generazionale. Così lui stesso, parlando in un’intervista al giornalista Giampiero Mughini, spiegava che le idee maturano e si evolvono: “Il Rauti del 1956 era un estremista nelle tesi e nelle idee, e giovanilmente non teneva presente che le ide pesano come pietre. Uno che non si rendeva conto che in Europa era in atto una sorta di mutazione antropologica che rendeva impossibile il ricorso a precedenti esperienze, quella fascista e quella nazista”. (Panorama del 12 giugno 1988).

Un politico ma anche uno studioso, un intellettuale complesso, curioso dei fenomeni della modernità, che non a caso da ultimo consigliava ai giovani di occuparsi di ogm e di ecologia piuttosto che leggere i sacri testi evoliani (ed Evola, va ribadito,  era stato per Rauti un pensatore di riferimento).

Tutto ciò è estraneo ovviamente alla bassa retorica agitata dall’Anpi ma ci si augura che almeno i giornalisti, riferendo di queste artificiose polemiche, si discostino dal cliché della mostrificazione dell’ “uomo nero”, documentandosi meglio, senza tornare alle “veline” dei tristi tempi delle “trame nere” che sembrano tornare di moda in certe redazioni (ogni riferimento all’Espresso non è affatto casuale..). 

 

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