Gli Usa di Obama come l’Italia di Prodi: milioni buttati per le capre in Afghanistan

22 Ago 2017 18:56 - di Paolo Lami

Una volta c’erano gli asini italiani in Somalia studiati minuziosamente (e costosamente), per la loro “capacità coeundi”, dall’istituto di ricerche bolognese Nomisma fondato da Romano Prodi. Ora ci sono le capre del Chiantishire spedite in Afghanistan dagli Stati Uniti per migliorare la razza e il cashmere locale. Passano gli anni ma i modi per buttare i soldi dei contribuenti, italiani e non, si assomigliano a qualsiasi latitudine.
Cambiano le amministrazioni. Ma i furbi non smettono mai di bussare a denari drenando soldi della collettività con idee strampalate più che geniali.

A poche ore dall’annuncio di Donald Trump di una nuova strategia per l’Afghanistan basata sull’invio di altri soldati, si riaccendono i riflettori sul fiume di denaro pubblico sprecato dalle precedenti amministrazioni Usa, in un conflitto che va avanti ormai da 16 anni, per costruire Centri di comando militari finiti poi inutilizzati, scuole fantasma, e per spedire nel Paese asiatico uniformi per l’esercito sbagliate e inutilizzabili e, perfino, nove capre del Chianti pagate a peso d’oro per la produzione del cashmere.

Finora il Dipartimento della Difesa, il Dipartimento di Stato, l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale e altre istituzioni hanno speso complessivamente 714 miliardi di dollari per finanziare le operazioni di guerra e i programmi di ricostruzione legati a infrastrutture, istruzione e formazione delle forze di sicurezza. Una cifra monstre alla quale hanno contribuito alcuni progetti strampalati lanciati dai predecessori di Trump, come ha fatto emergere John Sopko, Special Inspector per la ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar), che da anni denuncia lo sperpero dei soldi dei contribuenti, statunitensi, in questo caso.

Da anni in Italia si chiede una Commissione parlamentare d’indagine che faccia luce sugli sprechi di risorse pubbliche in progetti ridicoli come quelli affidati, senza gara, a Nomisma nell’ambito, per esempio, della Cooperazione allo Sviluppo. Gli Stati Uniti l’hanno fatto. E sono emerse cose davvero bizzarre.

Uno degli esempi più clamorosi è, appunto, quello legato a un piano che prevedeva di trasformare il Paese in un importante produttore mondiale di cashmere. Per compiere l’impresa, una task force del Pentagono finanziò l’acquisto – dalla veterinaria statunitense Nora Kravis, originaria di New York ma toscana d’adozione – e l’aviotrasporto in Afghanistan di nove maschi di capra, nove capre bionde italiane da cashmere selezionate nel Chianti: l’idea era quella di farli accoppiare con le capre locali in modo da migliorare la qualità della loro lana. Nell’ambito del progetto da sei milioni di dollari vennero anche costruiti una fattoria e un laboratorio dove il personale avrebbe dovuto certificare l’elevata qualità del cashmere prodotto.  Un disastro che, al confronto, la storia degli asini somali studiati da Nomisma a suon di soldoni è una bazzecola.

Parlando a marzo all’Università di Duke, Sopko lamentava il fallimento del piano. «Molte delle capre si sono ammalate e sono morte e il direttore del progetto si è dimesso per la frustrazione. Non sono sicuro – disse non senza una certa vena ironica – che trasportare capre volanti italiane in Afghanistan fosse esattamente quello che i padri fondatori avevano in mente quando crearono un esercito permanente degli Stati Uniti».

Non solo capre e fattorie hanno contribuito allo spreco di denaro pubblico degli Usa nel pozzo senza fondo dell’Afghanistan.
Nel 2009, poco dopo l’annuncio dell’ex-presidente Barack Obama del “surge” di truppe in Afghanistan, il governo ideò di costruire nella provincia di Helmand un centro di comando militare da 6mila metri quadrati per le operazioni dei Marines.
Il comandante allora in carica spiegò intelligentemente ai suoi superiori che l’edificio non era necessario e che bastava adeguare le strutture esistenti. Ma non venne ascoltato. La costruzione della base si concluse dopo il completo ritiro dei Marines dal Paese.
«A loro merito va detto che diversi generali provarono a convincere il Dipartimento della Difesa a non costruire quello che ritengo il miglior edificio realizzato in Afghanistan, ma le loro opinioni vennero ignorate – dichiarò Sopko durante il suo intervento – Ora giace in stato di abbandono, una testimonianza di una pessima pianificazione». Resta anche un buco da 36 milioni di dollari.

C’è poi il divertente caso dei 28 milioni di dollari spesi per le uniformi dell’esercito afghano. Uniformi sbagliate perché le mimetiche in dotazione avevano un camouflage verde bosco in un Paese in gran parte desertico.
Uno dei flop più gravi, per le risorse impiegate, riguarda invece l’istruzione. Da un rapporto di “Buzzfeed” emerge che dal 2015 un miliardo di dollari stanziato per costruire scuole, formare insegnanti e diffondere libri di testo in province chiave del Paese è finito nei conti di signori della guerra e funzionari corrotti, lasciando scuole intere vuote e fatiscenti.

C’è infine la questione del traffico di oppio. Secondo il Sigar, il governo statunitense ha speso qualcosa come 8,5 miliardi di dollari dal 2002 per sradicare la coltivazione di papaveri da oppio in Afghanistan: un traffico che in gran parte alimenta la corruzione e finanzia le operazione dell’insorgenza. Ma nonostante la forte azione di contrasto, i numeri di recente sono peggiorati. Nel 2013 le coltivazioni hanno raggiunto il livello più alto di tutti i tempi: mentre alcune province come il centro di produzione di Helmand hanno visto una riduzione del raccolto, nella provincia di Badghis, nel nord-ovest, l’aumento è stato del 184 per cento.

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