Rifiuti, ma quanto ci costano. Imprese e famiglie pagheranno 9 miliardi

30 Ago 2017 12:04 - di Stefania Campitelli

Il costo del ritiro dei rifiuti continua a salire: quest’anno le famiglie e le imprese italiane pagheranno 9,1 miliardi di euro. E gli aumenti che interesseranno le attività produttive doppieranno l’inflazione. Tra il 2017 e il 2016, infatti, i negozi di frutta, i bar, i ristoranti, gli alberghi e le botteghe artigiane subiranno un aumento della tariffa dei rifiuti oscillante tra il 2 e il 2,6 per cento. Per le famiglie, invece, l’incremento sarà leggermente più contenuto. Per un nucleo con 2 componenti la maggiore spesa sarà del 2 per cento. «Continuiamo a pagare di più, nonostante la produzione dei rifiuti abbia subito in questi ultimi anni di crisi una contrazione di 3 milioni di tonnellate, l’incidenza della raccolta differenziata sia aumentata di 20 punti percentuali e la qualità del servizio non abbia registrato alcun miglioramento. Anzi, in molte grandi aree urbane del paese è addirittura peggiorata. Fintantoché non arriveremo alla definizione dei costi standard – dichiara Paolo Zabeo coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre – possiamo affermare con buona approssimazione che con il pagamento della bolletta non copriamo solo i costi di raccolta e di smaltimento, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema. Ricordo che secondo l’Antitrust tra le oltre 10mila società controllate o partecipate dagli enti locali che forniscono servizi pubblici, tra cui anche la raccolta dei rifiuti, il 30 per cento circa sono stabilmente in perdita. Una cattiva gestione che la politica locale non è ancora riuscita a risolvere».

Sos rifiuti, il monopolio dello spreco

Sebbene in questi ultimi 2 anni il governo abbia imposto l’obbligo di non aumentare le tasse locali, gli amministratori si sono difesi’ tagliando i servizi e/o aumentando le tariffe che, per loro natura, non contribuiscono ad appesantire la pressione fiscale, anche se hanno un impatto molto negativo sui bilanci di famiglie e imprese – continua la Cgia – nel corso degli ultimi anni sono state numerose le novità che hanno riguardato il prelievo dei rifiuti: si è passati dalla Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) alla Tia (Tariffa di igiene ambientale); nel 2013 ha fatto il suo debutto la Tares (Tassa rifiuti e servizi) e dal 2014, infine, tutti i Comuni applicano la Tari (Tassa sui rifiuti). Quest’ultima tassa si basa sul principio stabilito dall’Ue che “chi inquina paga”’. Con l’introduzione della Tari è stato ulteriormente confermato l’assunto che il costo del servizio in capo all’azienda che raccoglie i rifiuti dev’essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento del tributo. «E il problema, purtroppo, sta proprio in questo principio – spiegano dalla Cgia – le aziende di asporto rifiuti, di fatto, operano in condizioni di monopolio, con dei costi spesso fuori mercato che famiglie e attività produttive, nonostante la produzione dei rifiuti sia diminuita e la qualità del servizio offerto non sia migliorata, sono chiamate a coprire con importi che in alcuni casi sono del tutto ingiustificati».

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