Per i media era diventata l’infermiera killer: Daniela Poggiali assolta in appello

7 Lug 2017 17:01 - di Davide Ventola

Da infermiera killer, mostro da sbattere in prima pagina per i suoi selfie con i moribondi, a vittima della malagiustizia. Accade a Daniela Poggiali: assolta perché il fatto non sussiste dalla Corte di assise di Appello di Bologna. La decisione è arrivata al termine della camera di consiglio nel processo di secondo grado nei confronti dell’ex infermiera 45enne dell’ospedale Umberto I di Lugo, nel Ravennate. L’imputata era stata condannata in primo grado a Ravenna, a marzo 2016, all’ergastolo, perché riconosciuta colpevole di avere iniettato una dose letale di potassio alla paziente 78enne Rosa Calderoni, la mattina dell’8 aprile 2014, a poche ore dal ricovero. La sentenza della Corte ha dunque ribaltato la decisione dei giudici di primo grado. La Corte di assise di appello ha anche disposto l’immediata scarcerazione dell’ex infermiera.

Dell’infermiera killer aveva parlato anche la stampa britannica

Ad occuparsi della vicenda, in passato, persino la stampa britannica. Il Daily Mail  aveva intervistato il procuratore capo di Ravenna Alessandro Mancini, il quale aveva rivelato che le vittime dell’infermiera potevano essere 93. «La nostra indagine – ha sostenuto il pm – mostra che tra il 2012 al 2014 sono stati 93 i pazienti morti durante i turni di Daniela Poggiali. Il più vicino dei suoi colleghi si ferma a 45 decessi. Per tutti gli altri infermieri la statistica è sotto i 30 morti». Al momento, aveva comunque precisato Mancini, «non abbiamo le prove che questi pazienti siano stati assassinati, ma 93 è un numero preoccupante».

I selfie accanto ai moribondi: così è nato il profilo dell’infermiera killer

Il caso della signora Poggiali aveva fatto scalpore per i selfie accanto ai moribondi. In una foto si vede l’infermiera sorridente e con il pollice alzato accanto al cadavere di un’anziana. In un’altra è invece sdraiata con la bocca aperta in una imitazione crudele della posizione di morte della donna. Cattivo gusto, ma non prove di colpevolezza, ha stabilito la corte di Appello. 

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