Le società tra professionisti non sono soggette a fallimento. Ecco perché

13 Lug 2017 17:38 - di Alessandro Verrelli

Con la legge 183/2011 è stata ammessa, nel nostro ordinamento, la possibilità di costituire la società tra professionisti. Questa ha innovato profondamente l’esercizio delle attività professionali consentendo ai professionisti, regolarmente iscritti agli ordini, di esercitare la loro attività, oltreché in forma individuale e in forma associativa, anche secondo uno dei modelli societari. Recentemente, in tale materia, novità sono state introdotte dal Tribunale di Forlì che, nel decreto n. 61/2017 del 25 maggio 2017, emanato a seguito della presentazione di istanza di fallimento di una Stp-Srl avente ad oggetto l’esercizio della professione di commercialista, ha stabilito che le società tra professionisti non sono soggette a fallimento. A detta del Tribunale, la Stp non svolge l’attività di impresa commerciale. Come la società agricola, quindi, non è soggetta all’istanza di fallimento. Infatti, tale istanza, è riservata ai soli “imprenditori che esercitano un’attività commerciale” e per definizione, la società tra professionisti, non esercita impresa commerciale.

A tali considerazioni si potrebbe rispondere che l’articolo 2249 del Codice Civile prevede che tutti i tipi societari sono, “per definizione”, soggetti giuridici che esercitano un’attività commerciale, ad eccezione della società semplice. A tale antitesi si può argomentare dicendo che il legislatore, stabilendo che la Stp può essere esercitata anche nelle forme della società commerciale, non ha voluto “commercializzare” le attività che tipicamente e storicamente non lo sono. Semplicemente si è voluta dare una nuova possibilità di sviluppo di tali attività all’interno di quella che potremmo definire una struttura atipica per il loro esercizio.

Premesse queste considerazioni di natura teorica, un ulteriore riferimento al fatto che le Stp non svolgano un’attività soggetta a fallimento lo si ritrova nel testo della legge n. 247/2012 Obbiettivo di tale legge, tramite una delega al Governo scaduta e mai eseguita, l’introduzione nel nostro ordinamento della società tra avvocati. In questo senso interessante l’articolo 5 che, esplicitamente, stabilisce: «l’esercizio della professione forense in forma societaria non costituisce attività d’impresa e che, conseguentemente, la società tra avvocati non è soggetta al fallimento e alle procedure concorsuali diverse da quelle di composizione delle crisi da sovraindebitamento». E su questa linea si è sviluppato anche il decreto del Tribunale di Forlì, con un indirizzo di grandissima rilevanza poiché rappresenta la prima decisione giurisprudenziale da quando è stata ammessa, nel nostro ordinamento, la società tra professioni.

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