I genitori vorrebbero portare Charlie a casa ma l’ospedale si oppone

25 Lug 2017 18:00 - di Redazione

“L’ultimo desiderio dei genitori di Charlie Gard è portarlo a casa” per trascorrere così gli ultimi momenti insieme e dirgli addio, dopo la decisione di rinunciare alla battaglia per fargli avere il trattamento sperimentale Usa. A spiegarlo è il legale di Chris Gard e Connie Yates che oggi è tornata di nuovo davanti all’Alta Corte per sostenere la richiesta sua e del papà del piccolo. “Pochi giorni di tranquillità fuori dall’ospedale”, è il tempo che i genitori vorrebbero secondo il legale. Come riportano i media britannici, sul quando e dove procedere al distacco dei supporti vitali sia ieri che oggi è continuato il confronto con il Great Ormond Street Hospital di Londra, dove il piccolo di 11 mesi affetto da una grave malattia rara è ricoverato. E sembra che la struttura opponga problematiche di tipo pratico (come le dimensioni della porta dell’appartamento che impedirebbero il passaggio dei macchinari per l’assistenza) alla possibilità di trasferire il piccolo nella sua casa, oltre a parlare di “sicurezza” e di “miglior interesse” per il bambino. Inoltre l’ospedale durante l’udienza in corso ha aggiunto che i genitori chiedono più giorni con Charlie a casa, con il supporto della ventilazione assistita collegato. Il giudice ha auspicato che si trovi un accordo, e si è parlato anche dell’opzione di un hospice. L’udienza è stata interrotta e dovrebbe riprendere in seguito.

“Ma Charlie non è un caso mediatico”

Charlie Gard è “ancora un bambino da tutelare, non un caso mediatico”. Sono le parole di Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’università Cattolica a Milano. “La sofferta decisione dei genitori del piccolo Charlie Gard di non tentare la via di un trattamento sperimentale, a seguito di un peggioramento della sua situazione clinica, merita rispetto”. “Ci sono limiti che vanno accolti e accettati – riflette l’esperto in una nota – Di fronte alla promessa di vita che si affaccia in ogni neonato è, d’altra parte, molto difficile accettare la malattia e la mortalità, tanto che ogni azione tecnica e scientifica sembra comunque doverosa e necessaria. È pur vero, però, che è doveroso soltanto fin quando tale azione porta realisticamente a qualche pur minimo beneficio, o almeno stabilizza le condizioni cliniche, altrimenti il rischio è quello di infliggere sofferenze ingiustificate. Il dibattito che si è acceso intorno al caso Charlie spesso è apparso dominato da modelli teorici e ideologici che non sempre hanno reso giustizia di un fatto: al di là delle diverse valutazioni morali e cliniche, il piccolo Charlie è sempre stato considerato con un’attenzione e una preoccupazione che a volte mancano nell’ordinaria prassi neonatale”. La sua vicenda, “che forse bisogna ora lasciare nella calda penombra delle ore ultime e intime delle relazioni umane – conclude Pessina – può forse insegnarci quanto sia importante non rinunciare a pensare, a confrontarsi e a dialogare quando ci si trova di fronte a situazioni difficili da decifrare. Voler bene significa anche sapere che cosa sia bene fare e questo non è facile, ma pur sempre possibile se si evitano preclusioni ideologiche sul valore intrinseco della vita umana”.

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