L’ultima follia dei piromani: gatti arsi vivi per innescare meglio gli incendi

12 Lug 2017 14:55 - di Monica Pucci

Gatti arsi vivi. La tecnica, purtroppo, non è nuova: fu scoperta in Sicilia lo scorso anno, durante la devastazione del Parco dei Nebrodi, quando neanche i pompieri più esperti riuscivano a spiegarsi come le fiamme riuscissero a propagarsi così velocemente per i boschi. Il segreto erano i gatti, vivi, a cui dare fuoco e da spedire poi in luoghi inaccessibili agli altri, per propagare meglio le fiamme. In questo modo, con questa atroce tecnica che prevede i piromani stanno dando fuoco, in queste ore, al Parco Nazionale del Vesuvio, provocando l’incendio più grave che a memoria si possa ricordare sul territorio. A trovare gli “inneschi” sono stati i vigili del fuoco impegnati nelle opere di spegnimento. Ma perché proprio i gatti? La risposta è drammaticamente banale: una volta “infiammati”, si infilano nelle zone meno raggiungibili dai soccorritori e scappando per il terrore riescono ad appiccare altri incendi come fossero torce. Ovviamente, alla fine, di loro resta solo una carcassa bruciata, quelle che sono state ritrovate alle falde del Vesuvio, almeno otto.

 
Era già successo lo scorso anno in Sicilia, sui Nebrodi, dove con questa strategia i criminali dell’ambiente avevano bruciato quasi 6.000 ettari di vegetazione. Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, più volte minacciato dalla mafia, aveva confermato che non si trattava di fenomeni di autocombustione ma di incendi dolosi provocati dall’atroce pratica di dar fuoco a gatti randagi e altri animali. Lo stesso copione si ripete oggi sotto il Vesuvio.
 

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