Falvella, iniziò 45 anni fa il massacro dei missini e anche la sua negazione (video)

7 Lug 2017 14:29 - di Antonio Pannullo

45 anni fa veniva assassinato proditoriamente a Salerno, in via Velia, il 19enne Carlo Falvella, militante del Msi e del Fuan, studente della facoltà di Filosofia. Carlo Falvella fu ucciso con diverse coltellate da un anarchico, Giovanni Marini, nel corso di una vera e propria aggressione contro i “fascisti” organizzata dalle frange estremiste che operavano in quegli anni in tutta Italia. “Uccidere un fascista non è reato” era la parola d’ordine di quegli anni, di tutti: degli estremisti di sinistra ma anche delle istituzioni politiche, che questi massacri preferivano ignorarli. Anzi, ogni volta scattava una solidarietà rossa vergognosa, stuoli di deputati, avvocati, presunti artisti e intellettuali, formavano comitati tesi a stravolgere la realtà e a difendere gli assassini, oltre che a propalare menzogne sulla effettiva dinamica degli omicidi. Il caso più famoso è certamente quello del rogo di Primavalle, ma il caso di Falvella fu il primo, furono le prove generali di quanto sarebbe poi successo negli anni di piombo: si difende a spada tratta l’assassino di un ragazzo 19enne, colpito solo perché di un’idea politica diversa da quella degli aggressori e soprattutto di quella del sistema, che di quegli assassini era il grande burattinaio. Le versioni fantasiose dell’esecuzione, accolte parzialmente anche dal tribunale, non sono vere: Falvella, che era tra l’altro menomato, perché in capo a pochi anni sarebbe diventato cieco (aveva subito ben tre operazioni di cataratta, non era affatto un violento. Il suo camerata di allora, Giovanni Alfinito, oggi avvocato, era il vero bersaglio della spedizione punitiva di Marini e compagni, e fu per difendere Giovanni, già ferito da una coltellata di Marini, che Falvella intervenne prendendosi la coltellata mortale. I tre aggressori fuggirono, ma Marini qualche ora dopo di costituì. Le sinistre e i vari comitati innocentisti scatenarono la grancassa mediatica, intimidendo anche la corte, tanto che il processo di dovette trasferire a Vallo della Lucania, dove la propaganda violenta tuttavia continuò. Marini, personaggio strano, incolto, violento, vagante tra comunismo e anarchia, fu difeso da principi del foro e addirittura dal deputato Terracini, comunista, che aveva partecipato alle sedute della costituente. Tutti hanno diritto a una difesa, sia chiaro, ma un costituente dovrebbe essere super partes rispetto a questi gravissimi episodi di intolleranza. Comunque sia, Marini ebbe una condanna lievissima, 11 anni, poi passati a nove, e alla fine scontati solo sette, inspiegabilmente. La spiegazione ufficiale è che era un “detenuto modello”, ma così non è, se è vero che in carcere si rese protagonista di altre risse e di continue denunce contro il sistema carcerario per cui subì – dicono i suoi compagni – anche pestaggi. Tanto che fu trasferito in ben 15 carceri diversi. Un detenuto modello questo non lo subisce. Comunque uscì, divenuto simbolo dell’estremismo antifascista, scrisse libri di poesie, lui che si era diplomato a 22 anni, vinse persino il premio Viareggio e ricevette i complimenti dei soliti Moravia, Dario Fo e altre teste d’uovo dell’intellighenzia comunista faziosa di quegli anni. La stessa lobby che distribuiva i premi letterari, di nessun valore, agli antifascisti del momento, meglio se violenti. Uscito, Marini rimase un border line: il suo carattere violento continuò a manifestarsi, tanto che fu anche licenziato dall’ufficio dove un compagno socialista lo aveva sistemato, perché in un accesso d’ira aveva sfasciato tutti i mobili. Tra parentesi, mentre dil Pci condannò l’assassinio pur attribuendolo alla solita violenza fascista, il Psi non mostrò mai rammarico per la morte del 19enne Falvella. Marini morì d’infarto nel 2001, ricordato solo da pochi. Speriamo. come qualcuno ha scritto, che Marini davvero fu tormentato per tutta la vita dal rimorso per aver assassinato un suo coetaneo perché aveva idee diverse dalle sue. E questa di Falvella, mai ricordato dall’establishment ma sempre dai suoi camerati fino a oggi, fu il primo tentativo di damnatio memoriae verso gli assassinati per odio politico. Tutti i missini uccisi da quel momento in poi furono sistematicamente ignorati dal mondo politico, pseudoculturale, mediatico e sociale italiano. Ora quegli anni Settanta si stanno storicizzando, questa conventio ad excludendum sta emergendo in tutta la sua drammaticità, così come accadde per i crimini dei partigiani rossi nei confronti dei fascisti o presunti tali. Ma anche in questo caso, il tempo è galantuomo, e oggi Falvella è ricordato tutti gli anni da un apposito comitato e da un monumento in via Velia, luogo del suo martirio.

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