Charlie, il protocollo del Bambino Gesù può funzionare. I medici inglesi ci ripensano

7 Lug 2017 18:25 - di Redazione

Una “nuova informazione, che mostra come il protocollo di trattamento” possibile per Charlie Gard “non è vano”. Così su Facebook la zia di Charlie, Laura Gard, posta il tanto attesto documento, redatto su carta intestata dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e inviato al Great Ormond Street Hospital di Londra. L’ospedale londinese ha interpellato l’Alta Corte affinché sia data una speranza al piccolo. Un cambio di rotta rispetto alla linea fin qui seguita che riteneva di non dover esplorare cure sperimentali per Charlie. 

“Siamo un gruppo di clinici e ricercatori sulle patologie mitocondriali e abbiamo studiato per lunghi anni la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale (mtDna)”, esordiscono gli esperti internazionali che hanno redatto il testo. Nel documento gli specialisti descrivono il protocollo e i nuovi risultati ottenuti finora, al momento sugli animali, ma non ancora pubblicati. “Siamo consapevoli del fatto che la terapia con deossinucleotidi per il deficit RRM2B sia sperimentale e, in teoria, dovrebbe essere testata su modelli murini (topi da laboratorio, ndr). Tuttavia, non c’è tempo sufficiente per svolgere questi studi e giustificare il trattamento per Charlie Gard, che è affetto da una grave encefalopatia dovuta a mutazioni RRM2B. Alla luce di questi importanti nuovi risultati, riguardanti la biodisponibilità dei deossinucleotidi somministrati per via esogena nel sistema nervoso centrale, chiediamo rispettosamente che questa terapia possa essere somministrata a Charlie Gard”, scrivono gli esperti. 

Nel documento, molto tecnico, gli esperti descrivono la patologia del bimbo e chiariscono meglio alcuni punti che riguardano la potenziale applicazione della terapia. “Esistono evidenze scientifiche – scrivono – a sostegno del fatto che i deossinucleotidi esogeni applicati a cellule umane con mutazione RRM2B in coltura, accrescono la replicazione e favoriscono il miglioramento della sindrome da deplezione del Dna”. “Ci rendiamo conto della preoccupazione che la terapia con deossinucleotidi possa non avere effetto sull’encefalopatia nei pazienti” con questo deficit, sottolineano gli specialisti, “perché le molecole non sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica. Tuttavia – precisano – esistono evidenze dirette e indirette che dimostrano chiaramente che i deossinucleotidi attraversano la barriera emato-encefalica e sono in grado di correggere gli squilibri dei pool di dNTP mitocondriali”. Gli studiosi citano varie sperimentazioni condotte in tutto il mondo, con risultati non ancora pubblicati. “Iniezioni per via endovenosa di un deossinucleotide chiamato deossicitidina su topi hanno causato l’elevazione dei livelli di deossicitidina trifosfato nel cervello”. Inoltre, “la somministrazione per via orale di deossinucleotidi chiamati deossitimidina e deossicitidina sui topi ha indotto, anche in questo caso, l’elevazione dei livelli di deossitimidina trifosfato e deossicitidina trifosfato nei mitocondri cerebrali”. Inoltre, quando queste sostanze sono state somministrate a topi con deficit di timidina chinasi 2 (TK2), “anche questi hanno avuto un miglioramento nella deplezione del mtDna nel cervello”.

Ma soprattutto “nuovi dati, non ancora pubblicati”, mostrano che un’ora dopo l’iniezione endovenosa di 520 mg/kg di deossinucleotidi i livelli di deossitimidina sono aumentati da 0,09 a 1,86 nmol/mgprotein, mentre i livelli di deossicitidina sono aumentati da 0,005 a 0,726 nmol/mgprotein”. Non solo, gli esperti citano altre “evidenze significative su topi e pazienti con deficit TK2”, frutto di studi non ancora pubblicati. Dunque per loro la terapia è sì sperimentale e, “in teoria, dovrebbe essere testata su modelli murini. Tuttavia, non c’è tempo” per questi studi. Ecco perché i medici chiedono che la terapia “possa essere somministrata a Charlie Gard”.

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