Psoriasi: a che punto è la ricerca sulla cura definitiva per tre milioni di italiani

19 Giu 2017 16:39 - di Redazione

La psoriasi affligge quasi tre milioni di italiani. D’estate, grazie al sole, il disturbo tende a “placarsi”, ma per il resto dell’anno la gran parte dei pazienti è costretta a un pellegrinaggio continuo tra medici di famiglia e dermatologi territoriali, alla ricerca di una terapia efficace. Solo in pochi arrivano nei centri di riferimento (ex Psocare), con il risultato di una delusione che tocca l’84% dei casi e un abbandono delle cure che arriva al 90%. E ben l80% dei malati fa i conti anche con la depressione. Questa la fotografia scattata, sulla base di 5.278 schede compilate dai pazienti e 2.560 dai medici specialisti, dall’Adipso, l’associazione per la difesa degli psoriasici. “Dobbiamo fare qualcosa per questa delusione dei pazienti”, ha sottolineato la presidente dell’Adipso Mara Maccarone, commentando i risultati dell’indagine illustrati durante un convegno che si è concluso sabato a Roma. “Oggi ci sarebbero tutti i mezzi per curarsi, ma molti non ci riescono – aggiunge – e questo è un enorme danno per il paziente e per la società. Le schede che abbiamo raccolto fotografano perfettamente la situazione generale: basti pensare che nei centri di riferimento in pochi anni siamo scesi da 12 mila a 6 mila pazienti, segno tangibile che qualcosa non va. E non per colpa dei malati”.

Psoriasi: 8 pazienti su 10 delusi dalle terapie

“Un dato che fa molto riflettere – rincara Ornella De Pità, dermatologa dell’ospedale Cristo Re di Roma – è che fra le persone visitate o intervistate all’Open Day, solo 102 erano state trattate da un centro di riferimento. Forse anche per questo hanno manifestato una forte delusione per le terapie ricevute”. “Il problema è di comunicazione. Dobbiamo impostare un percorso di istruzione del paziente – suggerisce Nicola Balato, che dirige la Dermatologia del Policlinico Federico II di Napoli – per fare in modo che segua il più possibile le terapie che proponiamo, anche spiegandogli che magari la prima può non funzionare, ma che in quel caso ci sono delle altre ‘armi’ che si possono usare”.

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