Migranti, Gentiloni prova a fare la voce grossa con l’Ue: «Dobbiamo fare da soli?»

21 Giu 2017 11:01 - di Tito Flavi

Migranti, Paolo Gentiloni prova a fare la voce grossa con Bruxelles. «Nonostante qualche passo in avanti, la  velocità» dell’Ue «resta drammaticamente al di sotto delle esigenze di governo e gestione del fenomeno» migratorio. Il premier lo ha detto  nelle sue comunicazioni a Palazzo Madama in vista del  Consiglio Ue di domani e venerdì.

Per Gentiloni  si tratta di un’Europa dalle rigidità diverse:  «Una massima sulle regole di bilancio, e un’altra, flessibile, sulle  regole comuni» dei diversi partner rispetto all’emergenza migranti.  «Vogliamo sapere se l’Ue c’è, con le sue risorse, il suo impegno, o se – ha proseguito – dobbiamo cavarcela da soli. Possiamo farcela, ma se  l’Ue vuole scommettere sul suo futuro deve avere una politica  migratoria comune». Parole indubbiamente forti, ma che difficilmente riusciranno a smuovere qualcosa a Bruxelles e presso le altre concellerie europee. Il fatto è che il peso politico dell’Italia nell’Ue è quello che è. cioè piuttosto scarso. Almeno sei anni di premier e di governi non drettamebte eletti dal popolo non sono passati senza lasciare tracce e senza diminuire il peso specifico del nostro Paese. 

Poi Gentiloni tenta anche di rincuorare l’opinione pubblica italiana rilanciando il tema della crescita economica. «Non bastano i decimali, i numeri:  l’Europa è lavoro, crescita, welfare, inclusione e questo è ciò che ne determina la capacità di attrazione a livello internazionale. O  scommettiamo su queste caratteristiche o faticheremo a far crescere un progetto comune». Non si vede però quale strategia il governo abbia messo in campo per consentire alla nostra economia di recuperare competitività. L’unica cosa che ci è pervenuta è il tentativo di Padoan di ottenere da Bruxelles uno sconto sulla manovra.  Ma ci vuole ben altro per rigenerare il sistema Paese. E i falchi della Bundesbank e del Fmi sono già in agguato, pronti a presentarci il conto (salato) dopo le elezioni e dopo la diminuzione dell’acquisto di titoli pubblici italiani da parte della Banca centrale europea

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