Marco Prato aveva già tentato tre volte il suicidio. Stanotte si è ucciso così

20 Giu 2017 15:49 - di Redazione

Aveva tentato di togliersi la vita almeno altre tre volte Marco Prato, morto suicida la scorsa notte nel carcere di Velletri. Il primo tentativo risale al 2011 quando tornò da Parigi in Italia in concomitanza con la fine di una relazione. Un episodio simile si verificò qualche mese dopo, una volta rientrato a Roma. Il terzo tentativo venne messo in atto a marzo 2016 qualche ora dopo l’omicidio di Luca Varani in un albergo nella zona di piazza Bologna. Stanotte il ragazzo, accusato di essere l’assassino di Luca Varani, è riuscito a uccidersi nella sua cella stringendosi un sacchetto della spazzatura nella testa e inalando il gas della bomboletta che legittimamente i detenuti posseggono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come hanno spiegato  Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, e Maurizio Somma, segretario nazionale Sappe per il Lazio. «Il fatto che sia morto proprio inalando il gas dalla bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario – aggiungono -, deve fare seriamente riflettere sulle modalità di utilizzo e di possesso di questi oggetti nelle celle”.

Le condizioni dei detenuti in carcere 

«Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas, che però spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti, come ‘sballo’ inalandone il gas o come veicolo suicidario – continuano – Già da tempo, come primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe ha sollecitato i vertici del Dap per rivedere il regolamento penitenziario, al fine di organizzare diversamente l’uso e il possesso delle bombolette di gas. Ma nulla è stato finora fatto». «Un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta dello Stato e dell’intera comunità», aggiungono i due sindacalisti. “Il suicidio costituisce solo un aspetto di quella più ampia e complessa crisi di identità che il carcere determina, alterando i rapporti e le relazioni, disgregando le prospettive esistenziali, affievolendo progetti e speranze – continuano – La via più netta e radicale per eliminare tutti questi disagi sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere”.
 

L’allarme del Garante dei detenuti dopo il suicidio di Marco Prato

«Nessuna sorpresa per un suicidio per molti versi annunciato», dice il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sul suicidio in carcere di Marco Prato, accusato dell’omicidio di Luca Varani. «Già nello scorso anno il Garante nazionale era intervenuto per riportarlo a Regina Coeli, alla luce del fatto, a tutti noto e in particolare all’Amministrazione penitenziaria, che la cosiddetta ‘Articolazione psichiatrica’ dell’Istituto di Velletri – prosegue – è inesistente e che là una persona che già aveva nel passato tentato il suicidio avrebbe avuto minore assistenza di quella garantita nell’Istituto romano».

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