Mafia Capitale, il legale di Carminati: sceneggiatura senza prove

19 Giu 2017 20:06 - di Paolo Lami

Un attacco durissimo alla Procura di Roma, ai suoi teoremi, alle “cantonate, ai suoi metodi di indagine che non reggono su prove concrete e reali ma su suggestioni, su voci non riscontrate, sui si dice”. L’avvocato Ippolita Naso, legale di Massimo Carminati, accusato di essere il capo dell’organizzazione denominata Mafia Capitale, smonta senza troppe difficoltà, nella sua arringa, il castello accusatorio che, alla prova processuale, mostra tutta la sua fragilità e inconsistenza. Arriva a rimproverare il rappresentante dell’accusa, il pm Luca Tescaroli, presente in aula, per aver inserito nella memoria della Procura una consulenza di un perito, il commercialista  Igor Catania, che si è sottratto all’esame dell’aula. Ed eccepisce, per questo, l’inutilizzabilita della perizia. Ricorda impietosamente, l’avvocato Naso, una dopo l’altra, tutte le volte che il teorema della Procura non solo non è stato riscontrato nè provato ma, addirittura, smentito dagli stessi testimoni chiamati dall’accusa, come il Maggiore dei carabinieri, Ribaudo.

Mafia Capitale ”è una indagine che a me ha fatto paura e orrore, che ha mortificato lo Stato di diritto e che ha umiliato la verità nel senso che la Procura non l’ha mai voluta cercare e quando questa è emersa durante il dibattimento è stata completamente ignorata – accusa senza mezzi termini l’avvocato Naso in piedi alla destra del pm Tescaroli che ascolta a testa bassa – Tutto ciò perché l’unico obiettivo della Procura era quello di difendere ostinatamente il proprio teorema accusatorio, deciso a tavolino, secondo cui a Roma c’era la mafia. Una cosa che nessun procuratore di Roma precedente aveva mai accertato prima”.

La Procura di Roma ha chiesto 28 anni di carcere per Carminati che, secondo la tesi dei magistrati romani, sarebbe una sorte di capo mafioso. Sennonché, poi, l’analisi minuziosa che l’avvocato Ippolita Naso fa del materiale portato dai pm a supporto del teorema, restituisce un altro quadro: molte affermazioni date per certe sono, addirittura, campate in aria, le intercettazioni non sono riscontrate, persino le presunte vittime della cosiddetta intimidazione mafiosa, raccontano tutta un’altra storia, i testimoni, chiamati dicono il contrario.

”Per costruire questo teorema – dice il difensore di Carminati – i magistrati, con la tecnica dell’insinuazione e non della dimostrazione ed elevando a prova la percezione della realtà e non il reale stesso, hanno dovuto creare un contesto, tipico dei processi di mafia, al quale poi i fatti sono stati adeguati: il pm si è trasformato in sceneggiatore e l’indagine preliminare, più che raccontare dei fatti, ha raccontato una storia. Ed è la storia di Massimo Carminati che ancora oggi risponde di fatti per i quali è stato processato, assolto o condannato e di fatti per i quali non è mai stato neppure indagato e neppure processato”.

“La Procura – continua l’avvocato Naso – non ha mai mandato giù il fatto che Carminati, con quel casellario giudiziario che si ritrova, fosse un uomo libero. Lui è stato definito ex-esponente dei Nar quando processualmente è stato assolto per quella vicenda. Lui è stato definito punto di collegamento tra la criminalità sovversiva e la Banda della Magliana per il solo fatto che era il vicino di casa di Franco Giuseppucci”.

Poi l’attacco più duro: ”la requisitoria scritta dei pm è un mix tra letteratura noir, notizie giornalistiche, e qualche elemento processuale buttato qua e là. Tutto ciò è servito alla Procura per attribuire a Carminati una fama criminale ma non esiste uno straccio di prova di un solo componente del sodalizio che abbia usato questa fama. Carminati, – ricorda l’avvocato Naso – prima che di lui si occupassero internet, fiction tv e articoli di stampa, a Roma non lo conosceva nessuno, nessuno se lo filava”.

Per il legale di Carminati – ma anche di Riccardo Brugia e Fabrizio Franco Testa – “le intercettazioni telefoniche hanno fatto pubblicità all’indagine Mafia Capitale. Quando esse non svelano la prova provata di un reato, certamente alzano il velo su qualche debolezza, su una indecenza “comportamentale”, su qualche parola di troppo che non avresti mai voluto pronunciare. E quando questa parola finisce su carta e diventa atto giudiziario, colui che l’ha pronunciata non ha più scampo”.

“Massimo Carminati – ricorda l’avvocato Naso – è stato sotto intercettazione per tre anni, dal 2011 al giorno dell’arresto, dicembre del 2014. La Procura ha criminalizzato la banalità e creato un mostro di cui ha perso il controllo durante le indagini e il processo, arrivando a contestare fatti che per la loro infondatezza si sono rivelati delle vere e proprie cantonate, arrivando a sostenere falsi storici risibili contenuti in una memoria scritta che offende l’intelligenza e la professionalità dei magistrati”.

”Questo – sottolinea il legale – non è un processo sbagliato, è un processo ingiusto, caratterizzato dall’assenza di un metodo legale perché qui lo Stato ha violato le regole: si è voluto tenere sotto controllo Carminati, al quale non sono stati perdonati il furto al caveau e il fatto che sia stato solo sfiorato da indagini importanti, in assenza di qualunque riscontro, ipotizzando inizialmente un’asserita partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio“.

Carminati – accusa l’avvocato Ippolita Naso – è stato vittima dell’approccio del processo stalinista, per cui ti metto sotto indagine per quello che sei e che rappresenti e non per quello che hai fatto”.

“Frasi da cazzeggio, sbruffonerie fra coatti romani – sostiene l’avvocato Naso – sono state elevate a prove del metodo mafioso. Tutto questo lo trovo offensivo delle vere vittime di mafia“.

“Al di là del vostro racconto, quali sono le attività intimidatorie poste in essere?”, chiede il legale di Carminati rivolgendosi al pm Tescaroli. E cita i molti episodi che la Procura ha posto alla base della sua indagine e anche della sua memoria depositata al Tribunale. Episodi che, incredibilmente, non trovano riscontro.
Ricorda, l’avvocato Naso, le numerose defaillance di un’indagine che suscitano non poco imbarazzo. Come l’episodio citato dalla Procura secondo la quale Carminati sarebbe stato avvertito che l’ex-Ad di Ente Eur SpA, Riccardo Mancini stava per essere arrestato. “I pm – sottolinea il difensore – non hanno fatto indagini su chi, nei Ros, avrebbe avverito Carminati di questa circostanza”. Perché? è la domanda che resta nell’aria. Eppure la Procura assegna grande importanza a questo episodio. Che, però, non è stato, appunto riscontrato. E non è il solo. Ci sono quelle dichiarazioni spontanee di Riccardo Mancini che ricostruisce ai magistrati i suoi rapporti con Finmeccanica.
Secondo i magistrati, Carminati avrebbe minacciato Mancini inducendolo all’omertà. Ma quando Mancini, nella caserma Parioli dei carabinieri, davanti al pm Ielo e al capitano Belelli, ripercorre la questione della tangente incassata da Finmeccanica in due tranche – prima 50.000 euro e poi altri 30.000 – si scopre, appunto, che è disponibile, senza alcun  timore, a parlare di tutto, altroché minacce di Carminati: “pronto a tutti i chiarimenti”, dice a Ielo. E racconta dell’uomo di Finmeccanica che lo contatta per dare un regolare contributo elettorale, del pranzo a cui viene invitato, a piazza Montegrappa, da Lorenzo Cola per conto del presidente di Finmeccanica  Guarguaglini, delle buste con i soldi, degli interessamenti di Iannilli. Negli interrogatori di Iannilli e Cola, non c’è mezza domanda su Carminati”, annota, non senza stupore,  l’avvocato Naso. Ed è ben strano, certo.
“Come mai quelle spontanee dichiarazioni di Mancini non sono state prodotte dai pm? – si chiede il legale di Carminati che, da quelle dichiarazioni ne avrebbe tratto un vantaggio processuale – Il pm Ielo aveva promesso e anticipato che avrebbe prodotto quel verbale. Ma poi non lo ha fatto”. E non è l’unica stranezza nell’indagine.

“Nessuna persona che la Procura sostiene essere stata minacciata da Carminati è stata interrogata”, accusa Ippolita Naso. “Perché – chiede il legale – non avete sentito i dipendenti della Onlus Piccoli Passi che, secondo i pm, sarebbero stati minacciati da Carminati? Perché non avete interrogato il presidente della coop Grimaldi“.

“Il maresciallo Ficarra, testimone dell’accusa, smentisce le minacce di Carminati“, prosegue il legale.
Si dibatte del cosiddetto “metodo d’intimidazione mafioso”. Per la Cassazione si deve tradurre in “atti specifici”. L’avvocato Naso va a riprendere quanto portato dalla Procura a sostengno della sua tesi. Una chiacchierata intercettata nel corso della quale Agostino Guaglianone dice di Carminati: “E’ uno di quelli cattivi”. Ecco, sottolinea il legale, basta questo per far dire alla Procura di Roma che Massimo Carminati usa il metodo mafioso.

Sono tanti gli episodi citati dal legale. Vicende utilizzate dalla Procura per sostenere l’accusa di mafia ma, poi, non riscontrate. Il maggiore Ribaudo dei carabinieri chiamato a testimoniare dall’accusa in ordine a una vecchia vicenda di un tentato omicidio smentisce che vi siano riferimenti a Carminati come, invece, aveva sostenuto la Procura. Gli episodi sono tanti. E, mano a mano che scorrono, dimostrano che di tutto si può parlare meno che di mafia. Come quello di un ragazzino, un 26enne, il classico figlio di papà del generone romano, che coinvolge varie persone, fra cui il presunto braccio destro di Carminati, Riccardo Brugia, quello che i pm hanno soprannominato con grande suggestione televisiva, lo “spaccapollici” e altri amici di Carminati, come Fabio Gaudenzi, in un investimento in Africa. Perde – e fa perdere al gruppo – centinaia di migliaia di euro. Torna dall’Africa a Roma. Prima di ripartire per il Brasile a fare la bella vita. C’è da aspettarsi che la “terribile” organizzazione mafiosa di Mafia Capitale metta in atto tutta la sua violenza e la sua ferocia, secondo la suggestione della Procura. Invece le intercettazioni restituiscono un quadro da commedia amara all’italiana. Uno delle vittime del 26enne, Fabio Gaudenzi, si lamenta con gli amici: “m’ha fatto perdere 200.000, mo m’ammazzo. Mi sono fatto mettere in mezzo da un ragazzino di 26 anni”. Eccola la temibile Mafia Capitale. Fregati da un ragazzino, pensano al suicidio.

 

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