Elezioni GB, exit poll choc: la May in testa, ma non ha la maggioranza

9 Giu 2017 0:59 - di Aldo Di Lello

Le elezioni britanniche ci consegnano un Paese ad alta instabilità politica. Se i primi exit poll fossero confermati dai dati reali, sarebbe uno choc per Theresa May e per i Tories. I conservatori conquisterebbero 314 seggi, ma ciò non consentirebbe loro di determinare  la maggioranza parlamentare, che è di 326 seggi. I laburisti di Jeremy Corbyn otterrebbero  266 seggi, gli indipendentisti scozzesi ne acquisirebbero 34, i liberaldemocratici invece 14, l’Ukip di Farage non avrebbe, da parte sua, rappresentanza parlamentare.  Se andasse effettivamente così, il Parlamento britannico sarebbe spaccato come una mela. Non ci sarebbe maggioranza.

L’azzardo della May

Per Theresa May sarebbe una cocente sconfitta politica. E’ stata proprio la premier a volere le elezioni anticipate per conquistare una più larga maggioranza parlamentare rispetto agli attuali 331 seggi acquisiti da Cameron nel 2015. L’azzardo della May è stato quello di voler ottenere  un mandato politico più forte in vista delle trattative per la Brexit. Ma l’azzardo sembrerebbe costarle caro, anche perché i liberaldemocratici (ostili alla Brexit)  hanno già fatto sapere di non voler appoggiare un governo conservatore, come invece avvenne nel 2010, esperienza che però è finita male, con un aspro confronto tra libdem e conservatori. Primo sintomo dell’instabilità politica che si profila è il crollo della sterlina sui mercati.

La rivincita di Corbyn

Il vincitore politico sarebbe Jeremy Corbyn, al di là del fatto che sarebbe impossibile anche per lui formare un governo, nonostante l’endorsement degli scozzesi e l’eventuale appoggio dei libdem. Il leader laburista conquisterebbe 34  seggi in più rispetto a quelli ottenuti  due anni fa dall’allora candidato premier del Labour, Ed Miliband. Corbyn vincerebbe una doppia sfida: contro i conservatori della May (un mese fa i sondaggi lo davano perdente di 20 punti) e contro lo stesso apparato parlamentare del suo partito, ancora legato alle posizioni globaliste e liberiste di Tony Blair. Corbyn ha sfruttato le lacune della May, a partire dalla impopolare proposta della “dementia tax” , che avrebbe comportato l’insostenibilità delle spese sanitarie per gli anziani non autosufficienti. Corbyn ha impostato una campagna antiglobalista e antiliberista, una campagna in favore di nazionalizzazioni di alcuni servizi pubblici (ferrovie e poste) e di aumento della spesa sociale, a partire dell’abolizione della retta universitaria, arrivata con Cameron a novemila sterline. Una campagna, quella di Corbyn,  contro l’austerità di bilancio, tanto cara all’attuale establishment, al di là e al di qua della Manica. Né sembra aver sfavorito Corbyn l’emergenza terrorismo, dopo gli attentati a Manchester e a London Bridge: il leader laburista ha contestato alla May di aver voluto, al tempo in cui l’attuale premier era ministro dell’Interno, la soppressione di ventimila posti di lavoro nell’apparato di sicurezza garantito dalla polizia.

 

 

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