Cyberbullismo: legge inutile perché non vieta lo smartphone ai ragazzini

7 Giu 2017 16:19 - di Redazione
smartphone

La nuova legge sul cyberbullismo è una vera occasione sprecata. Lo afferma il padagogista Daniele Novara su Avvenire, sostenendo che il problema dev’essere ricondotto e risolto nell’ambito della scuola, senza allarmismi e senza aprire la “caccia al bullo”. Per parlare di bullismo, spiega Novara, è necessaria la compresenza di questi 3 elementi: 1) il comportamento di prepotenza è continuativo nel tempo (continuità); 2) avviene nei confronti di una persona che non riesce a difendersi (disparità); 3) c’è l’intenzione di fare del male (intenzionalità). “Si tratta, i somma, di violenza pura, assolutamente non presente fino alla quinta elementare e raramente presente fra i preadolescenti e gli adolescenti. Non è lecito, perciò, drammatizzare un fenomeno comunque limitato. I nostri ragazzi sono migliori di come vengono dipinti dalla cronaca”.

Ma perché la legge è destinata a fallire?  Perché “non ha avuto il coraggio di mettere dei divieti nella vendita dei dispositivi digitali ai bambini, lasciando le famiglie in balia di un marketing sempre più cinico che usa i minori come target per vendere strumenti non adatti alla loro età. Appare curioso che per l’alcool e per il tabacco sia proibita la vendita ai minori di 18 anni, ma che viceversa un bambino di 8 anni possa acquistare uno smartphone con internet incorporato o usare videogiochi violenti e addirittura finire a iscriversi sui social network senza nessuna sostanziale limitazione”. 

La maggior parte delle piattaforme sociali online è infatti nella titolarità di aziende americane, e queste applicano il limite dei 13 anni per l’iscrizione al social network. Col nuovo regolamento europeo (GDPR) si è posto il problema in quanto, all’articolo 8, prescrive l’obbligo di non consentire l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione (quindi iscrizione ai social network e ai servizi di messagistica) a soggetti minori di 16 anni, a meno che non sia raccolto il consenso dei genitori. Un divieto che la legge sul cyberbullismo ha preferito ignorare. 

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