Trump revisionista sulla Guerra di secessione. E parte la solita crociata ideologica

2 Mag 2017 14:25 - di Redazione

“Perché c’è stata la Guerra Civile? Perché non è stato trovato un accordo? La gente non se lo chiede…? Se solo Andrew Jackson fosse arrivato più tardi, la Guerra Civile non ci sarebbe stata. Era veramente arrabbiato per aver visto quello che stava accadendo riguardo alla Guerra Civile. Era una persona dura ma aveva un grande cuore. Disse che non c’era ragione per tutto questo”. L’uscita revisionista di Donald Trump sulla Guerra di secessione esalta il ruolo del settimo inquilino della Casa Bianca, Andrew Jackson e toglie l’aureola alla crociata contro la schiavitù che nascondeva altri interessi, tra cui quello, tutto economico, di debellare l’aristocrazia terriera del Sud. 

E, come spesso avviene per le sortite di Trump, le sue parole finiscono nel mirino di chi ama le ricostruzioni storiche a senso unico.  In questo caso si imputa al presidente Usa di non avere menzionato la schiavitù. In realtà Trump ha detto che semmai un’altra cosa: e cioè che all’abolizione si sarebbe potuti arrivare senza una guerra, attraverso un accordo. Una svista però nelle affermazioni di Trump c’è: il presidente Jacskon è morto nel 1845 mentre il conflitto tra gli abolizionisti Stati dell’Unione e gli Stati Confederati è scoppiato nel 1861.

 

Gli storici si interrogano sulle parole di Trump. “E’ un tipo di affermazione che gli farà ottenere gli applausi dei circoli neoconfederati del Sud”, è il commento di Douglas Brinkley, storico dei presidenti americani della Rice University, mentre c’è chi ricorda che le bandiere confederate erano una presenza fissa durante i comizi di Trump della campagna elettorale. L’ammirazione per Jackson – che è stato tra il 1829 e il 1937 il settimo presidente degli Stati Uniti  – non è una novità per Trump che già durante la campagna elettorale si era dichiarato un fan e seguace del presidente ritratto come un populista ante litteram. “Se fosse rimasto ancora un po’ non avremmo avuto al Guerra Civile – ha detto Trump – era una persona molto dura, ma aveva un gran cuore”. 

“Quello che vedo in queste dichiarazioni è la sua attrazione per gli uomini forti nella storia – ha detto David Blight, professore di Yale esperto di Guerra Civile – è così completamente fuori da ogni contesto o conoscenza l’idea che in qualche modo Jackson avrebbe potuto evitare la guerra”. Ma dietro alle parole di Trump più che un messaggio storico si legge un messaggio politico, dal momento che negli ultimi anni altri repubblicani, in particolare esponenti del Tea Party, hanno affermato che la schiavitù sarebbe potuta finire senza guerra. E poi c’è forse il segnale che, nella guerra interna alla Casa Bianca per il potere, l’influenza di Stephen Bannon forse non è così indebolita come è stato detto. La ‘passione’ per Jackson infatti è una sua vecchia idea fissa.

“E’ stato durante la rivoluzione che Jackson per la prima voltà sfidò l’elite arrogante, questo vi suona familiare?”, ha detto il presidente Trump lo scorso marzo durante la visita alla proprietà ed alla tomba di Jackson a Nashville. Ma ora Trump è andato oltre, diventando un inquilino della Casa Bianca che mette in dubbio l’idea, su cui c’é il consenso degli storici, che la guerra civile sia stata motivata dalla lotta alla schiavitù ma dal contrasto tra gli stati, sdoganando così le posizioni di movimenti confederati degli stati del Sud e  dei gruppi suprematisti bianchi. 

 

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