Il 15 maggio nasceva Bulgakov, fu accusato dai comunisti di nostalgia per lo zar

15 Mag 2017 14:45 - di Redazione

Il 15 maggio del 1891 nasceva a Kiev lo scrittore e drammaturgo Michail Bulgakov, il cui capolavoro, Il Maestro e Margherita, descrive “il mondo nuovo, sorto da un’apocalisse e dall’apocalisse marchiato per sempre”. Per questo i critici hanno voluto vedere in lui “lo scrittore della frattura, della catastrofe” cui il mondo uscito dalla rivoluzione appare privo di ogni razionalità. 

L’accusa di essere devoto al tradizionalismo e allo zarismo lo colpisce sin dal suo primo romanzo, La guardia bianca (1925) ambientato in Ucraina e nel quale in un affresco corale vediamo la città di Kiev prepararsi all’arrivo dei bolscevichi, mentre i tedeschi abbandonano il territorio lasciato ai saccheggi e alle atrocità dell’avventuriero Petljura. I personaggi, che ruotano attorno alle vicende dei fratelli Turbin, sono colti in quel momento tempestoso in cui un vecchio regime si frantuma e il vortice delle novità storiche sconvolge in un batter di ciglia le esistenze individuali e collettive. Particolarmente belle le pagine in cui Bulgakov descrive gli studenti asserragliati nel ginnasio che si preparano alla resistenza finale traendo ispirazione dal gigantesco ritratto della zar Alessandro che manda loro “sorrisi pieni di un fascino insidioso”.

La riduzione teatrale del romanzo, andata in scena a Mosca nel 1926, gli procurò severissime critiche: Bulgakov fu indicato come responsabile di un’apologia dei bianchi e solo grazie all’intervento diretto di Stalin ottenne il posto di assistente alla regia al Teatro d’Arte di Mosca. Alternò l’attività teatrale alla stesura dei romanzi che poterono essere pubblicati solo dopo la sua morte.

Nella biografia a lui dedicata la studiosa Marietta Cudakova ha messo in luce come lo scrittore sia stato oggetto di “una operosa manipolazione, al fine di disinnescare, o almeno addomesticare, la forza dirompente della sua opera nell’Unione sovietica brezneviana”. Un’opera in cui si osava mettere in scena la lotta tra Dio e Satana. Un’opera da cui traspariva l’avversione per il comunismo e per la follia che si era impadronita della Russia.

I toni sgomenti dinanzi alla sorte della Russia furono già anticipati da Bulgakov in un articolo del 1919, quando lo scrittore esercitava ancora la professione di medico in Cecenia: “Ora che la nostra patria sventurata ha toccato il fondo nel baratro della vergogna e della sciagura nelle quali l’ha costretta la ‘grande rivoluzione sociale’, molti di noi si ritrovano con lo stesso pensiero in testa. Un pensiero ostinato. Che cupo, fosco, si offre alla nostra coscienza ed esige imperiosamente una risposta. E’ un pensiero semplice: che ne sarà di noi? … A ovest la grande guerra di grandi popoli è finita. Ed è giunto il tempo di leccarsi le ferite. Si rimetteranno in piedi presto, là, prestissimo! … E noi? Noi resteremo indietro… E resteremo tanto indietro, che nessuno dei profeti di oggi saprà mai dirci quando – e soprattutto se – potremo mai raggiungerli. Perché questo è il nostro castigo…”. 

 

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