Francia, Macron denuncia attacco hacker: diffusi documenti riservati

6 Mag 2017 9:45 - di Redazione

Vigilia del voto per il ballottaggio delle presidenziali in Francia al veleno. Lo staff di Emmanuel Macron ha denunciato un attacco hacker “massiccio e coordinato” che ha portato alla «diffusione di informazioni interne di natura diversa». In un comunicato stampa diffuso nella notte da En Marche! si parla di un tentativo «di destabilizzare le elezioni presidenziali francesi». Decine di migliaia di email, foto e allegati sono stati «scaricati settimane fa attraverso la violazione di caselle email personali e professionali di molti responsabili del movimento e mescolati con documenti falsi per seminare dubbi e disinformazioni», si legge nella dichiarazione pubblicata pochi minuti prima della scadenza della mezzanotte per il silenzio elettorale. Secondo la stampa francese, un utente che si fa chiamare Emleaks avrebbe pubblicato almeno nove gigabyte di dati, ma per il movimento di Macron i documenti provenienti dall’attacco hacker sono «tutti legali ed espressione del normale funzionamento di una campagna presidenziale».

Macron e l’euro

E intanto il Premio Nobel per l’economia, l’americano Joseph Stiglitz in un’intervista al Corriere della Sera afferma  che Macron può rappresentare “l’ultima chiamata” per salvare l’euro.  Macron viene ritenuto in grado di convincere la Germania ad agire diversamente nell’eurozona. «Le riforme necessarie non riguardano i singoli Paesi. Sono interventi sulla struttura dell’area euro e bisogna convincere il governo di Berlino», sostiene l’economista americano che in un’intervista al Corriere della Sera attacca la Germania. «Il problema è che i Paesi della moneta unica non sono diversi solo sul piano economico, lo sono anche filosoficamente – aggiunge – la Germania non ha la stessa idea di cos’è un’economia di successo che hanno la Francia o l’Italia e tanti altri.  La Germania, caso quasi unico al mondo – argomenta Stiglitz – rifiuta gli stimoli e scarica l’onere delle correzioni sui Paesi deboli. Tutti gli altri, da almeno 75 anni, pensano che si debba fare all’opposto».

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