Bimbo ucciso per un cappellino. Il Moas usa la tragedia per allontanare le ombre

6 Mag 2017 13:37 - di Redazione

Salvataggi e tragedie in mare: un bimbo di appena 10 anni è stato ucciso su un gommone a colpi di pistola da uno scafista. Con a bordo quasi 400 immigrati in mattinata è attraccata al porto di Catania la nave “Phoenix”, un’imbarcazione di 40 metri di proprietà del Moas, una delle organizzazioni non governative finite nel mirino dei magistrati nell’ambito dell’inchiesta della procura di Catania sul business dell’immigrazione clandestina alimentato dai legami con gli scafisti.

Il cadavere di un bimbo di 10 anni sulla barca del Moas

Sull’imbarcazione è stato trovato il corpo senza vita di un bambino di appena 10 anni, che sarebbe stato ucciso per essersi rifiutato di dare il suo cappellino da baseball ad un trafficante. La sparatoria sarebbe avvenuta mentre il piccolo era su un gommone. Sono queste le prime informazioni fornite dalla fondatrice del Moas, Regina Catambrone che era a bordo insieme al marito Christopher. Secondo i primi rilievi, il bimbo ha i segni di una ferita da arma da fuoco. Ora gli investigatori dovranno sentire gli immigrati e raccogliere le loro testimonianze sulla tragedia  perché le dichiarazioni rese a personale delle Ong non hanno valore probatorio.

La Catambrone all’attacco

Lo choc per la morte del piccolo, che ha commosso il mondo, però non impedisce alla Catambrone di polemizzare contro il clamore per le inchieste e ribadire la vocazione umanitaria delle ong, che sarebbero state infangate dai processi mediatici. Nel mirino c’è il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, “colpevole” di aver messo gli occhi sul Moas, che ha il via libera per operare persino nelle acque territoriali libiche, riscontrando profili «non sempre collimanti con quelli dei filantropi». «Tutti mi chiedono di questo procuratore, ma io non lo conosco e credo che lui non conosca né me né mio marito. Se bisogna fare un’indagine ben venga, ma nelle aule dei tribunali con le porte chiuse e con la segretezza…», ha detto la fondatrice dell’Ong accusando la stampa di strumentalizzare il dolore. «Io mi domando come mai queste domande proprio in questo momento  in cui stiamo sbarcando il corpo senza vita di un ragazzo che è morto per mano dei trafficanti veri». Le domande dei giornalisti non sono le smanie di professionisti del fango senza cuore, ma le domande di tutti i cittadini di fronte allo scandalo emerso da settimane. Semmai dovrebbe essere la Catambrone a non farsi scudo della tragedia del bimbo per difendere la trasparenza della sua organizzazione umanitaria, più volte messa in discussione in questi giorni. 

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