Senato, Minzolini mantiene la parola e si dimette. Che dirà ora Travaglio?

20 Apr 2017 13:01 - di Marzio Dalla Casta

E alla fine dimissioni furono, ma non decadenza, come pure pretendevano (non senza ragione) i volenterosi buttafuori della “Severino“. Augusto Minzolini, già restroscenista principe de La Stampa, quindi contestato direttorissimo del Tg1 nel tramonto berlusconiano e infine senatore di Forza Italia, lascia dunque l’aula di Palazzo Madama. Ma a testa alta. Nessuno l’ha cacciato, sebbene colpito da una demenziale e sospetta condanna comminata da un collegio giudicante in cui figurava uno dei tanti magistrati che entrano ed escono dalla politica come da un albergo a porte girevoli. Uno dello schieramento avversario, ovviamente. Vallo a far capire all’estero che in Italia succedono anche queste cose. Per ora accontentiamoci di capire perché, accomiatandosi dal Senato, Minzolini abbia sentito il bisogno di ringraziare l’aula «nella sua interezza» per la decisione del 16 marzo, quando la richiesta di decadenza fu respinta anche grazie alla scelta del Pd di lasciare ai suoi senatori libertà di coscienza. Per molti, un vulnus alla legge. Per Minzolini un voto che «ridà respiro alle istituzioni e all’Italia intera». Le dimissioni dell’ex-direttore del Tg1, accolte con 142 sì, 105 no e 4 astenuti, sono state precedeute da un’insistita polemica, in cui si era distinto il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio con l’aiuto del suo braccio parlamentare, il M5S. Prima scommettendo che mai Minzolini si sarebbe dimesso, così come aveva annunciato sin da quando fne fu respinta la decadenza, poi dicendo che il Senato le avrebbe respinte, come da prassi. Il voto odierno ha clamorosamente smantito entrambe le previsioni. Ma tanto è bastato per mettere addosso al Pd ua fifa blu. Tanto blu da costringere il capogruppo Luigi Zanda ad appiccicare la propria faccia su un brutta figura: ha infatti chiesto il voto palese pur sapendo che il Regolamento del Senato lo vieta espressamente per questo tipo di votazione. Una richiesta dettata dal terrore di un “salvataggio” di Minzolini ad opera dei Cinqustelle che un minuto dopo l’avrebbero messo in conto al Pd. Nel tentativo di evitarlo i povero Zanda si è arrampicato sugli specchi: « Nel Parlamento italiano – ha azzardato – il voto segreto ha perso gran parte del suo valore. Ormai serve ben poco a proteggere l’espressione libera dei parlamentari chiamati a esprimersi su questioni che attengono alla loro coscienza e sulle quali il voto dev’essere messo al riparo sia dal mandato imperativo del partito d’appartenenza, sia da pressioni irragionevoli della pubblica opinione». Un vero delirio. Buon per lui che nonostante il voto segreto, le dimissioni siano state accettate. Minzolini torna dunque a fare il giornalista. L’onore del Senato è salvo.

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