Rasatura dei capelli, atto ignobile: lo fecero i partigiani alle ausiliarie Rsi

1 Apr 2017 14:55 - di Antonio Pannullo

Il caso della ragazza 14enne del Bangladesh rapata a zero dai genitori musulmani perché si rifiutava di portare il velo, ha riportato alla memoria barbare violenze che si credevano finite, almedno nel nostro Paese. Il taglio dei capelli a un essere umano è un atto ignobile, un vero stupro dell’anima, una violenza traumatica messa in atto per umiliare, dileggiare ferocemente, annientare psicologicamente. Certo, non è la cosa peggiore che possa capitare a una persona, ma è un gesto di rara crudeltà, soprattutto se unito ad altri atti analoghi. La pratica della rasatura dei capelli alle donne fu praticata durante la resistenza da alcuni gruppi partigiani, l’ala criminale, che la adottarono contro le giovanissime ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana, eroiche giovanette poco più che adolescenti, che disertarono i banchi di scuola per aderire a migliaia al corpo femminile della Rsi. Si chiamava Saf, Servizio ausiliario femminile. E si coprirono di gloria: le ausiliarie furono quelle che durante la guerra civile pagarono il più alto tributo di sangue alla patria, in proporzione al loro effettivo. Alle ausiliarie venivano tagliati i capelli a zero quando andava loro bene. In genere, alla rasatura si aggiungeva lo stupro di gruppo, le sevizie, la verniciatura con vernice rosso, gli psuti, gli schiaffi, e molto sovente la morte in qualche luogo appartato. La rasatura dei capelli per umiliare una donna ha origine antiche: in genere significa voler additare fisicamente al publbico ludibrio qualcuno che si è macchiato di una grave colpa, vera o presunta; significa voler espellere qualcuno definitivamente dalla comunità, da quella comunità, e voler spettacolizzare la punizione. Tanto è vero che il taglio di capelli si svolgeva in piazza, di fronte a una folla di bestie urlante, così come la verniciatura e le percosse selavagge; gli stupri, invece, si svolgevano in luoghi più appartati. Una psichiatra potrebbe individuare il profondo significato di questa pratica barbara e arcaica: noi gente comune ricordiamo il mito di Sansone, che senza capelli perse la forza, e soprattutto l’usanza degli Indiani d’America – ma non solo loro – di scalpare il nemico. Il taglio dei capelli vero  eproprio, invece, in alcune tribù era sia una punizione sia un bando dalla società. La Convenzione di Ginevra, ossia le leggi di guerra, non prevede questo tipo di punizione, che è tipico di società primitive e feroci. Gli eserciti regolari moderni non hanno mai praticato questa umiliazione nei confronti del nemico prigioniero. Sono centinaia le giovani ausiliarie della Rsi assassinate dai partigiani,  eprobabilmente altrettante quelle rasata, seviziate, stuprate e torturate dalle bande partigiane più feroci. Un esempio per tutti, Brunilde Tanzi, giovane fascista milanese, assassinata dalla Volante Rossa nel gennaio del 1947 in un vero e proprio attentato terrorista stile Brigate Rosse, a guerra più che finita dunque, che nel 1945 era stata catturata e rasata insieme ad alcuen sue camerate, alcuen delle quali furono assassinate dopo lo stupro.

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