La crisi sia con noi. Per assicuratori, banchieri ed editori c’è il dividendo

28 Apr 2017 16:04 - di Niccolo Silvestri

Più che la pagina economica del Corriere della Serasembrava il bollettino della vittoria del generale Diaz. Da non crederci, alla luce delle quotidiane geremiadi sui conti in rosso, il disastro di Alitalia, il borsellino in apnea sin dalla terza settimana del mese e via piangendo. Ma tant’è: in quest’Italia   spaccata a metà può capitare che a fronte di un default nazionale dato più volte per imminente, capiti poi di leggere che gli azionisti di Intesa Sanpaolo a fine anno si spartiranno un monte dividendi di 10 miliardi. «Chi ha investito un miliardo in Intesa Sanpaolo a fine 2013 – ha ricordato Carlo Messina, l’ad del gruppo bancario – oggi se ne ritrova due». Facendo due conti, significa circa 300 milioni all’anno, in pratica 25 milioni al mese. Di euro, ovviamente non delle vecchie e rimpiante dirette. Non così bene, ma sempre con il segno “più” è finita l’assemblea degli azionisti del gruppo assicurativo UnipolSai che in sede di approvazione del bilancio 2016 ha deliberato la distribuzione di 353 milioni di euro per i soci. Insomma, banche e assicurazioni se le danno di santa ragione… le quote da dividersi annualmente tra i fortunati possessori delle loro azioni. Non se la passa tanto male neanche il gruppo Rcs MediaGroup, la società che edita proprio il Corriere della Sera. Anzi, è proprio il giornale di via Solferino ad informare del ritiro all’utile, «il primo dal 2010», ha sottolineato il presidente e ad Urbano Cairo, che è anche il patron de La7. Pensate che soddisfazione per quei soci storici di Rcs che sono detentori anche del 4,6 per cento in UnipolSai, il cui bilancio di previsione, come prima riportato, promette meraviglie. Profitti in crescita anche in Mondadori. «Ci predisponiamo alla cedola», ha annunciato raggiante l’ad Ernesto Mauri. L’ultima volta fu nel 2011. Ora, invece, l’utile previsto dalla società è del 30 per cento. Champagne, allora, ma solo per banchieri, assicuratori ed editori. Per loro l’Italia dev’essere come quel famoso caffè della pubblicità: più la mandano giù, più si tirano su.

 

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