Pini, il fascista che voleva la pace: i partigiani gli uccisero il figlio 16enne

30 Mar 2017 14:37 - di Antonio Pannullo

Esattamente trenta anni fa scompariva a Bologna, dove era nato, Giorgio Pini, protagonista del fascismo, della Repubblica Sociale, del Movimento Sociale. Pini, giornalista e scrittore, era un “ragazzo del ’99”, mandato al fronte nel 1917, dove seppe guadagnare la Medaglia d’Argento al Valor militare. Tornato dalla guerra, si iscrisse a Giurisprudenza, dove contestualmente si avvicinò al movimento fascista. Nel 1922 si iscrisse ai Fasci di combattimento di Bologna, e iniziò a collaborare col giornale L’Assalto, di cui nel 1924 divenne direttore. Dopo la Marcia su Roma collaborò con numerose riviste culturali fasciste, da Il Bargello di Alessandro Pavolini a Critica fascista a Gerarchia, sempre stimolando il fascismo a rimanere una forza antiborghese e rivoluzionaria. Nel 1926 approdò a Il Popolo d’Italia e scrisse una prima biografia di Benito Mussolini, che vide numerose ristampe. Fu successivamente direttore di Il Resto del Carlino, di Il Giornale di Genova e del Gazzettino di Venezia, fino a quando, nel 1936, divenne caporeddatore del Popolo d’Italia, quotidiano che Pini seppe ben rilanciare, raddoppiandone le vendite. Nel 1940 partì volontario per la guerra, malgrado avesse diritto all’esenzione (era rimasto vedovo e padre di cinque figli) e combatté in Africa del Nord. Tornato in Italia, assisté, dal giornale, al 25 luglio e all’8 settembre. Senza esitazioni seguì Mussolini nella Repubblica Sociale, che gli affidò nuovamente la direzione del Resto del Carlino e poi, a fine 1944, il delicato incarico di sottosegretario all’Interno.

Quando Pertini e Nenni rifiutarono la pacificazione

Anche in questo periodo Pini espresse posizioni di pacificazione nazionale e di necessità di riforme, che avrebbero portato il fascismo alle posizioni dell’origine. Era uno dei cosiddetti “pontieri” che cercavano il dialogo con i partigiani: ma Pertini, Nenni e Basso stracciarono le loro proposte. Dopo il 30 aprile 1945 fu ovviamente arrestato e condannato dalla corte speciale di Bologna a sette anni di reclusione, venendo poi amnistiato dalla legge Togliatti. Ma mentre era in carcere, a Bologna, un gruppo di partigiani gli uccise il figlio 16enne, Gianni, che era andato a trovarlo da Castiglione dello Stiviere, dove era rifugiata la famiglia, in bicicletta, e il cui corpo non fu mai più trovato. Uscito dal carcere, svolse lavori saltuari, sempre nell’ambito del giornalismo, come molti altri combattenti Rsi. Nel dicembre 1946 Pini fu tra i fondatori del Msi, di cui divenne subito un esponente della sinistra nazionale. Ma negli anni Cinquanta uscì dal partito, fondando altri due movimenti, ma continuando sempre a dedicarsi alla pubblicistica e al giornalismo. Nel 1951 fu finalmente riammesso nell’ordine dei giornalisti. Nel 1955 dette alle stampe, con Duilio Susmel, una delle migliori biografie del Duce, Mussolini, l’uomo e l’opera; in precedenza aveva pubblicato Filo diretto con Palazzo Venezia, sui suoi rapporti con il capo del fascismo. Scrisse anche il ritratto di Donna Rachele, La mia vita con Benito, e numerosi altri volumi di memorialistica. Collaborò con riviste d’area come Pensiero nazionale, L’Asso di spade e l’Orologio, nonché con periodici come Oggi e il Resto del Carlino. Morì a 88 anni nella sua Bologna.

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