Màrquez oggi avrebbe 90 anni: il mondo ancora non gli perdona il legame con Fidel

6 Mar 2017 11:54 - di Bianca Conte

Avrebbe compiuto 90 anni proprio oggi,  Gabriel Garcìa Màrquez, lo scrittore colombiano di nascita, ma messicano d’azione che, insieme al peruviano Vargas Llosa, all’argentino Cortàzar e al messicano Carlos Fuentes, ha composto il poker d’assi della letteratura sudamericana, a cui poi va aggiunto – anche se discostato leggermente dai 4 – anche Jorge Luis Borges

Màrquez avrebbe compiuto 90 anni oggi

Lo scrittore premio Nobel per la Letteratura nel 1982, morto il 17 aprile di 3 anni fa a Città del Messico a 87 anni, autore de L’amore ai tempi del colera e di Cronaca di una morte annunciata, era per tutti Gabo, un nomignolo affettuoso che, nel diminutivo a cui rimanda, esprime la statura dell’uomo di vita e di cultura che è stato, come accaduto nel mondo solo per Eduardo, Charlot e pochi altri. Un autore dalla forza evocativa e affabulatoria dirompente, il cui mondo immaginario e il cui lessico narrativo – a partire dai titoli dei suoi successi più tradotti e letti – sono entrati nell’immaginario collettivo e, addirittura, nelle perifrasi del linguaggio quotidiano. Non a caso, per esempio, in occasione della commemorazione finebre istituzionale, affidando il rimpianto per  la perdita di Gabriel Garcia Marquez a un tweet, il presidente della Colombia Juan Manuel Santos, raccolse sconforto e lo smarrimento di un Paese di fronte alla scomparsa di uno dei suoi protagonisti culturali in un tweet in cui postò: «Mille anni di solitudine e tristezza per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi».

Màrquez e quel contestato legame con Fidel

E di sicuro, tra coni d’ombra e contraddizioni, Màrquez è stato una delle personalità più rappresentative e conosciute, un uomo simbolo di un’epoca letteraria e di un mondo culturale a cui, però, non è mai stato perdonato quel legame pericoloso e controverso con il dittaore cubano, Fidel Castro, Non è un caso infatti se,  proprio nei giorni della sua scomparsa, il suo paese d’origine dedicò tre giorni di lutto nazionale, funestato però dalle continue e pesanti dichiarazioni rilasciate da molti esuli cubani che, allo scrittore sudamericano contestavano l’appoggio al regime castrista. «Speriamo che Fidel Castro e Gabriel Garcia Márquez siano presto riuniti», twittò all’indomani della morte dell’autore di cent’anni di solitudine il leader degli esuli cubani, Tony Hernandez. «Mentre il mondo commemora un grande della letteratura, io rammento un Comunista che ha difeso gli indifendibili abusi di Castro», rilanciò ancor più drasticamente Israel Abreu, altro esule cubano che nelle carceri dell’Avana soggiornò a lungo che poi aggiunse anche: «Molti scrivono che tutta l’America latina è triste per la morte di Marquez, ma non è vero. Con la sua fama la scrittore colombiano ha contrabbandato come un governo umanitario una tirannia che ha imprigionato centinaia di migliaia di dissidenti e trucidato migliaia di persone. Non posso accettare che si cancelli di punto in bianco la sua accondiscendenza nei confronti di una tirannia spietata». Una contraddizione intrinseca, quella rimproverata a Màrqez, sottilmente riassunta in poche battute da Vargas Llosa, che liquidò la questione definendo il collega semplicemente «un cortigiano di Castro»…

Macondo, l’immaginifica provincia simbolo del mondo

Al di là delle sue discutibile simpatie politiche, resta però il fatto che l’antologia intestata a suo nome annovera la sua esperienza editoriale definendolo il «maggior esponente del cosiddetto realismo magico». E certo, le convinzioni politiche di Marquez sono anche intrinsecamente correlate alla storia della Colombia, ma rilette alla luce della profonda influenza della cultura familiare che ha respirato sin da piccolo, specie grazie ai suoi nonni paterni, Nicolas Marquez Mejia e Tranquilina Iguran Cotes. E allora, se il gusto del fantastico della nonna marcò a caratteri di fuoco l’immaginazione di quello che sarebbe diventato il futuro scrittore, i racconti del nonno, un prestigioso militare veterano della cosiddetta “guerra dei mille giorni” (1899-1902) fra conservatori e liberali, servirono di base per la sua visione storica, segnata dal senso del tragico, dalla efferatezza irresistibile del fascino del potere. Una materia magmatica che lo scrittore ha provato a plasmare e tradurre in poesia e letteratura. Marquez è stato dunque, tutto questo e anche qualcosa di più: ha incarnato, e al tempo stesso contribuito a generare e definire, la letteratura sudamericana che con lui e in lui ha riconosciuto la propria coscienza identitaria, miscelando alchemicamente – come solo lui sapeva fare – archetipi culturali del vecchio continente ed elementi tipici della tradizione sudamericana, partorendo un prototipo letterario nuovo. Magico. Sulfureo. Universale. Un microcosmo affascinante che, nell’intersecare sogno e realtà, favola e storia, ha racchiuso nell’immaginifica provincia di Macondo – in cui si ambientano le vicende dei suoi racconti – verità e trasfigurazione della stessa, della odierna Colombia. Un successo intercontinentale, il suo, che rispecchia anche la sua vita di viaggiatore sempre pronto a cambiare pelle. Paese. Ma altrettanto radicato nelle viscere della sua realtà antropologica e geo-politica. Ne sono testimonianza la sua vita intera. La sua esperienza giornalistica dipanata tra Cartaghena, (dove ha lavorato per El Universal) Bogotà (firma de El Espectador), fino a Roma, dove frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia, conosce De Sica e Zavattini.

 

 

 

 

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