Lingotto, i cinque ingredienti del nuovo format di Matteo Renzi

11 Mar 2017 10:17 - di Redattore 54

Seconda giornata della convention di Matteo Renzi al Lingotto per l’avvio ufficiale della campagna delle primarie del Pd. Attesa particolare per l’approfondimento dei temi della giustizia, con gli interventi di Stefano Graziano e del figlio di Giorgio Nugnes, assessore al Comune di Napoli che si uccise a seguito di un’inchiesta. Un messaggio ai giustizialisti, che infatti ricalcano vecchie note con Marco Travaglio, l’ultimo degli ostinati detrattori di Matteo Renzi che lo chiama ancora Renzusconi. 

La stagione sofferta 

Invece di acqua ne è passata sotto i ponti e Renzi porta sulle spalle il peso di sconfitte, errori politici, di un’inchiesta che coinvolge suo padre e di una scissione  che porterà via al Pd una fetta di elettorato che va dal 3 al 5%. Se un tempo l’ex premier aveva bisogno, per la sua scalata al potere, di imitare le forme più radicate del berlusconismo – innovazione, ottimismo, disprezzo e distanza dalla vecchia sinistra – oggi non è più così. Alla fase della Leopolda si sovrappone la più matura e sofferta stagione del Lingotto, con il tentativo disperato di ancoraggio a ciò che resta della scialuppa del veltronismo. Un format poco riuscito, secondo Il Foglio, e non c’è da dargli torto. Di Berlusconi si può dire tutto il male possibile ma non che abbia cambiato il suo stile politico-comunicativo uniformandosi ai gusti politici che cambiano. Renzi appare invece troppo metamorfico per poter aspirare ad occupare stabilmente lo spazio del leader immaginario e reale della sinistra italiana. E ciò nonostante l’odierno sondaggio del Corriere sulle primarie del Pd lo veda saldamente in testa con il 53%, seguito da Orlando al 25%(Emiliano si ferma all’8%). 

Il trasformismo non paga 

Il trasformismo nel costruire la leadership non paga. E se certo è esagerato dire che Renzi vuol tornare alle parole d’ordine della sinistra è pur vero che ci sono elementi che lo fanno pensare. Nel suo eloquio al Lingotto fa capolino la parola “compagno”, e poi c’è l’intento di rilanciare la scuola di partito per superare il tempo delle slide e di twitter, e poi c’è la citazione di Gramsci, buttata là giusto per consentire a Sergio Staino di titolare così sull’Unità il suo fondo: “Il compagno Matteo”. Un compagno più conciliante con le ragioni della minoranza. E poi ci sono – come annota l’inviato del Corriere – “le teste grigie di gran lunga superiori ai tacchi alti e ai vestiti sgargianti di leopoldiana memoria”. E’ la riscoperta della “ditta”, dunque, che cerca i voti che sono tradizionalmente suoi e non solo quelli degli hipster. Del Renzi di un tempo c’è l’idea della “piattaforma Bob” sul web aperta ai militanti e col nome che richiama Bob Kennedy e anche la citazione di Orwell, autore che l’America anti-Trump sta riscoprendo. 

La sinistra come bene-rifugio

Trasformismo, sì. Ma Renzi poteva fare altrimenti? Quando era la destra berlusconiana a vincere l’ex premier si sforzò di battere il Cavaliere sul suo stesso terreno, di costruire un’egemonia non alternativa ma simile. Poi ha dovuto fare i conti con l’ondata populista dei Cinquestelle: tutto il Pd è rimasto indeciso a lungo sulla linea da seguire con i grillini. Dialogo o insulto? Contrasto o possibili convergenze? Demonizzazione o accettazione? Alla fine si è capito, e lo ha capito anche Renzi (complice la sconfitta del suo referendum) che la gente alle fotocopie preferisce l’originale. E allora meglio usare la sinistra come bene-rifugio. Forse non per tornare a vincere ma per resistere sì. Per resistere “strada facendo” come recita la canzone di Claudio Baglioni scelta come colonna sonora della prima giornata del Lingotto. Si cammina, ma verso dove? Neanche l’ambizione di Renzi è riuscita, per ora, a trovare una risposta. Questo format ancora in fieri e che non convince, in definitiva, può contare su almeno cinque ingredienti: il garantismo (vecchio cavallo di battaglia del Cavaliere), il recupero della risorsa partito (contro il caos del movimentismo grillino), il riformismo dal basso (e non più dall’alto come avveniva ai tempi del giglio magico), il veltronismo riadattato ai tempi, la blanda riscoperta del linguaggio di sinistra

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