Terrorismo, 1 anno e 8 mesi alla prof libica (molto meno di quanto richiesto)

3 Feb 2017 15:39 - di Redazione

Sospettata. Monitorata. Processata: e oggi, per Khadiga Shabbi, la prof universitaria libica arrestata nel dicembre del 2015 a Palermo con l’accusa di istigazione a commettere reati in materia di terrorismo, è arrivata la richiesta di condanna e, a stretto giro, la sentenza. Il Pm Gery Ferrara aveva chiesto per la donna la condanna a 4 anni e mezzo di carcere. Il gup Lorenzo Iannelli non ha però riconosciuto l’aggravante transnazionale, pur avendole addebitato l’aggravante del reato di terrorismo: da qui la pena comminata dal Tribunale di Palermo, più bassa di quella richiesta: un anno e otto mesi.

Prof libica condannata: gli argomenti dell’accusa

La condanna a quattro anni e mezzo di carcere era stata chiesta, al termine della requisitoria, dal pm di Palermo Gery Ferrara: secondo l’accusa, infatti, la donna, che tuttora continua a professarsi innocente, sarebbe stata in contatto con diversi foreign fighters e avrebbe fatto propaganda per Al Qaeda sul web. La Polizia l’aveva monitorata per mesi, dopo alcune segnalazioni, accertando i suoi contatti con due soggetti pericolosi nel mirino dell’antierrorismo, uno in Belgio, l’altro in Inghilterra. La donna avrebbe anche cercato di pianificare l’arrivo in Italia di un suo cugino, poi morto in Libia in uno scontro a fuoco, e avrebbe mandato diverse somme di denaro in Turchia. Non solo: secondo l’accusa la ricercatrice sarebbe, inoltre, imparentata con esponenti di una organizzazione terroristica coinvolta nell’attentato all’ambasciata americana in Libia nel 2012, e avrebbe fatto propaganda sui social ad Al Qaeda.

La ricercatrice condannata a 1 anno e 8 mesi

Il processo si è celebrato a porte chiuse e con il rito abbreviato, davanti al gup di Palermo Lorenzo Iannelli. Dopo l’arresto del dicembre 2015 il gip del Tribunale Fernando Sestito aveva deciso di non convalidare il fermo disposto dalla Procura, applicando invece l’obbligo di dimora a Palermo, senza imporre alcun divieto di comunicazione con l’esterno. Per il magistrato, che ha comunque riconosciuto la sussistenza di gravi indizi a carico della donna, non ci sarebbero stati rischi di inquinamento probatori,o né pericolo di fuga. Ma il tribunale del Riesame, poi la Cassazione, diedero per fortuna ragione ai pm. E Shabbi era finita in carcere. La Cassazione, infatti, aveva ritenuto fondati gli indizi «di istigazione al compimento di atti di terrorismo internazionale». Indizi culminati però in una sentenza inferiore rispetto a quella che si prevedeva in base ai sospetti nutriti su di lei.

 

 

 

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