Mea culpa di Berdini: «Sono un coglione». La Raggi: resta, ma «sotto tutela»

10 Feb 2017 10:05 - di Ginevra Sorrentino

Paolo Berdini, ormai più che alla resa dei conti con la Raggi e la sua amministrazione capitolina è alla resa totale. «Sto malissimo – dichiara sfinito – i giornalisti mi assediano, ce li ho tutti qui sotto casa, ho dovuto staccare il cellulare e chiudermi dentro, senza più neppure la libertà di uscire aprendere una boccata d’aria». Così, in un colloquio con Repubblica, l’assessore all’Urbanistica finito al centro delle bufera mediatico-politica  che infuria senza tregua dopo le sue parole sulla sindaca pentastellata pubblicate su La Stampa, smessi i panni del fustigatore  e depositata l’ascia di guerra, «La verità è che mi vergogno. Ho combinato un casino, provocato un danno, non solo a me stesso, quello ormai mi interessa poco, ma a Virginia e a una squadra che proprio non lo meritava. In tarda età scoprire di essere un perfetto idiota è davvero un brutto risveglio»…

Il mea culpa di Berdini

Non solo: tornando al colloquio con il giornalista della Stampa, Berdini torna a ribadire che «quel giorno, era un venerdì, mi sono svegliato all’alba, sono partito per Bologna, ho tenuto una conferenza, all’una ho ripreso il treno e sono arrivato a Roma alle quattro. Dopodiché sono andato a quella faticosissima assemblea nella sede dell’VIII municipio, durata quattro ore. Una volta finita, era tardi, un assessore cinquestelle mi ha presentato “sto ragazzo”. Nonostante fossi molto stanco, abbiamo cominciato a parlare. Lui non mi aveva detto di essere un giornalista. Mi ha fatto un mucchio di domande. E io mi sono abbandonato, riportando come un coglione dei pettegolezzi. Solo alla fine mi sono insospettito. E lui ha ammesso di fare il precario alla Stampa. Mi ha preso per sfinimento, giurandomi che non avrebbe pubblicato nulla». E invece, non solo quel dialogo è stato pubblicato e assai letto e rilanciato, ma è diventato addirittura un documento politico, un formale atto d’accusa che ha colpito ai fianchi la già traballante credibilità amministrativa del Campidoglio.

Una commedia degli equivoci

Una commedia degli equivoci in tre atti, questa messa in scena tra goffagini diplomatiche e ingenuità mediatica, in cui alla messinscena introduttiva del j’accuse berdiniano pubblicato su La Stampa, segue oggi la seconda parte della rappresentazione con il mea culpa riparatore riportato su la Repubblica, quando siamo già praticamente all’epiologo semiserio, che dovrebbe concludere l’intera pantomima con la sostituzione dell’infedele con il deus ex machina pronto a piovere dall’alto del direttorio cinque stelle. E invece no: mentre circola ormai da ore il nome del sostituto pronto a rimpiazzare Berdini, da Il solo 24 ore si apprende del «dietrofront della Raggi» che avrebbe annunciato: «Berdini resta, ma sotto tutela».

L’ultimo annuncio di Di Battista

Solo poco prima l’assessore dimissionario riguardo una sua uscita di scena sul finale, aveva confidato: «Almeno così finisce l’agonia: sarebbe forse la soluzione migliore; tanto probabilmente fra un mese mi avrebbero cacciato lo stesso, dopo la fine della trattativa sullo stadio della Roma, che loro vorrebbero chiudere in un modo, e io in un altro». Anche a riguardo, allora, la regia pentastellata sfodera l’ennesimo coupe de theatre affidato a uno degli indiscussi protagonisti della scena grillina, Alessandro Di Battista che, riguardo al leitmotiv dello stadio della Roma, tra annunci e smentite, retromarce e impaludamenti, con tono perentrorio e definitivo, ha sentenziato: «Quando il Movimento dice che una cosa si fa, si fa. Ma non posso tollerare che il progetto stadio sia una minima parte di un progetto di un enorme quartiere. Sono sicuro che si metteranno d’accordo e troveranno una soluzione».

 

 

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