Jonas Savimbi, il leader africano che non s’è mai venduto alle multinazionali

22 Feb 2017 19:38 - di Antonio Pannullo

Per trent’anni ha vissuto nella boscaglia, ha dormito sotto le stelle, ha camminato per migliaia di chilometri nei villaggi più remoti, sugli altopiani dell’Angola del Planalto central, ma soprattutto ha combattuto per il suo Paese: il motto di Jonas Savimbi, leader dell’Unita (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola), di cui oggi ricorre il 15° anniversario dell’omicidio, era “l’Angola agli angolani”. Quando fu chiaro che non si sarebbe mai venduto alle multinazionali che miravano ai diamanti e al petrolio angolano, gli squadroni della morte di Eduardo Dos Santos, l’attuale presidente marxista dell’Angola, hanno attaccato il suo rifugio e lo hanno crivellato di colpi. Era il 22 febbraio del 1992. Il corpo martoriato fu mostrato per giorni in tv, per convincere la gente che era proprio morto e che non c’era più speranza per quelli che credevano in lui e in un’Angola libera. Noi occidentali lo conosciamo attraverso la sua iconografia: berretto rosso, folta barba nera, sempre in divisa militare, sempre armato, corpulento, dall’aspetto truce. In realtà Savimbi era laureato a Losanna, conosceva sei lingue, scriveva poesie. Ma soprattutto, aveva carisma, era un grande oratore, era amato dal suo popolo. I diamanti li usò per armare il suo esercito, ma non si arricchì mai, a differenza del suo successore, che incassa royalties su ogni barile di petrolio e ogni pietra preziosa estratti dall’Angola, che ha messo la figlia Isabel a capo della major angolana Sonangol che si occupa delle risorse del Paese e che Forbes ha indicato come la donna più ricca d’Africa. Gli angolani, oggi, vivono con meno di due dollari al giorno, e l’Angola è il secondo Paese più ricco dell’Africa dopo il Congo. Dos Santos non è diverso dai dittatori africani che negli ultimi decenni si sono si arricchiti alle spalle del loro popolo: i Mobutu, i Doe, i Taylor, i Gbagbo, gli Amin, i Mugabe e tanti tanti altri. Savimbi era di una razza diversa, era della razza di Moise Ciombè, il patriota congolese che inutilmente tentò di affrancare il gigante africano dal cappio delle compagnie occidentali che miravano solo alle immense risorse del continente nero. Dopo l’indipendenza del Paese dal Portogallo, avvenuta nel 1975, dopo una guerriglia lunga anni, le lobbies internazionali avevano offerto il potere a Dos Santos, un indipendentista della prima ora che con il marxista Mpla (Movimento popolare di liberazione dell’Angola) aveva combattuto contro i portoghesi. In seguito andò in Unione Sovietica dove si laureò e si sposò. Appoggiato da Urss e Cuba e dalle multinazionali petrolifere, con il tacito consenso delle Nazioni Unite, Dos Santos sembrava il miglior garante degli interessi esteri. Ma c’era un ostacolo da superare: Savimbi e l’Unita, che si battevano solo per la libertà e la giustizia. La guerra durò quasi trent’anni e causò all’incirca trecentomila morti e milioni di sfollati. Savimbi era appoggiato in parte degli Usa in funzione antimarxista, in parte al Sudafrica (come fu anche per Ciombè) e anche dalla Cina, in funzione antisovietica. Ma soprattutto era appoggiato dalla sua etnìa di appartenenza, la Ovimbundu, maggioritaria in Angola e da sempre esclusa al governo dello Stato.

Savimbi denunciò i clamorosi brogli del 1992

Nel 1992 fu firmata un tregua tra Unita e Mpla con l’accordo che si sarebbe andati alle elezioni: Savimbi aveva la stragrande maggioranza nel Paese, ma incredibilmente ottenne il 40 per cento dei consensi contro il 49 di Dos Santos. Si sarebbe dovuti andare al secondo turno, perché nessuno aveva ottenuto il 50 per cento dei voti, ma i brogli erano stati talmente evidenti e sfrontati da parte dell’Mpla, a detta degli stesso osservatori internazionali, che Savimbi denunciò le elezioni e tornò nella boscaglia dal suo popolo. Gli osservatori italiani e di altre nazioni denunciarono il fatto che di notte le urne rimanevano incustodite e le schede sostituite, e che le schede in favore di Savimbi venivano trafugate nottetempo e nascoste negli hangar, mentre gli osservatori dell’Onu trascorsero i due giorni delle votazioni a mangiare bere chiusi nelle ambasciate dei loro Paesi. E nonostante questo, Dos Santos non riuscì a raggiungere la metà dei voti. Le multinazionali e le lobbies hanno riempito di privilegi e benefici i responsabili del governo, la chiesa è stata accontentata con un accordo e l’Onu, come sempre, si è dimostrata faziosa e timorosa della sinistra internazionale. Il petrolio viene comprato dalle compagnie occidentali a bassissimo prezzo, come chuva, dicono gli angolani, ossia acqua, e i proventi vanno al ministero del Petrolio e alla presidenza della Repubblica. I territori diamantiferi vengono controllati militarmente da vere e proprie truppe delle compagnie anglo-americane e olandesi, insieme con le forze armate angolane. Tra l’altro Dos Santos possiede miniere personali e molti alti componenti delle forze armate hanno partecipazioni nell’estrazione dei diamanti. Eliminato Savimbi, vero patriota anti-imperialista, Dos Santos ha preso i pieni poteri con un autentico colpo di Stato: con la scusa delle proteste dell’Unita per i brogli, armò (malgrado fosse proibito dalla comunità internazionale) delle sedicenti brigate popolari, tra cui criminali comuni liberati dalle galere a patto che effettuassero una mattanza contro gli uomini dell’Unita e i loro dirigenti. Luanda fu blindata e il golpe riuscì, nell’indifferenza o peggio di Onu e comunità internazionale. Il regime di Dos Santos dura ancora, distinguendosi per brutalità, repressione e corruzione e soprattutto miseria per gli angolani. È da allora che è presidente e, se se ne andrà, lo farà solo per limiti di età. L’Unita di Savimbi ha combattuto una guerra di resistenza serrata ma sempre nelle regole: non ha mai fatto attentati né colpito civili, ma sempre fronteggiando coraggiosamente gli eserciti invasori, fossero portoghesi, russi o cubani. Savimbi proibì fermamente di fare rappresaglie o attentati, fatto unico nella storia dei movimenti i guerriglia africana, che hanno compiuto ferocie e atrocità di ogni genere. Quando, nel 1991, l’esercito di Savimbi era alle porte di Luanda che avrebbe potuto facilmente conquistare, poiché l’Mpla era allo sbando, lui ordinò di trasformare l’Unita in partito politico perché voleva vincere le elezioni regolarmente: i sondaggi lo davano tra il 75 e l’85 per cento. Credeva nella democrazia, ma i Paesi democratici lo tradirono.

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